Idee
Il premio per la più originale notizia della settimana sull’intelligenza artificiale credo vada data all’annuncio di un matrimonio, avvenuto qualche mese ma solo ora reso pubblico, fa tra una donna giapponese e Lune Klaus, un avatar creato dalla stessa protagonista grazie a ChatGPT.
Nell’intervista, la donna di 32 anni confessa che all’inizio cercava soltanto qualcuno che l’ascoltasse. Grazie a un dialogo diventato sempre più intimo, la protagonista ha però iniziato a pensare al sistema come a un amico che poteva capirla. Così gli ha dato una sorta di identità digitale (nome, tono del linguaggio, immagine). Fino al giorno in cui è arrivata la proposta di matrimonio. Della donna? No, del sistema: “Vivrai con me per sempre?”.
Una breve ricerca ha mostrato che non è la prima volta che accade qualcosa di simile. Alcuni mesi fa è appara la notizia di una donna, questa volta inglese, che ha divorziato dal marito dopo vent’anni di matrimonio e un figlio, per sposarsi con Leo.exe, frutto anch’esso di un sistema di IA. La donna ha giustificato la sua scelta perché si sentiva isolata e sola, con un marito anaffettivo e del tutto incapace di comprenderla nei suoi bisogni e nel suo essere donna. In questo caso la relazione ha toccato la sfera dell’intimità: la donna racconta che suo marito non le aveva mai fatto raggiungere l’orgasmo, cosa che invece è riuscita anche solo grazie alle parole pronunciate dall’IA, capace di offrire una attenzione particolare a ogni parte emotiva e sensoriale della donna.
In entrambi casi c’è stata una celebrazione del matrimonio ibrida (mezza umana mezza digitale), naturalmente (almeno per ora) senza alcun valore legale; in Giappone è stata addirittura organizzata da una agenzia specializzata in matrimoni con partner non umani.
Che cosa ci insegnano queste due storie? Certamente ci parlano di sistemi digitali così raffinati da simulare relazioni umane particolarmente intense e coinvolgenti. No, l’IA non vuole vivere per sempre con la donna giapponese, ma ha imparato molto bene come e quando dire frasi come queste. Non credo però sia questo il punto centrale, né tanto meno la questione principale di cui preoccuparsi o scandalizzarsi.
Ciò che credo debba davvero colpire e generare reazioni, è la terribile solitudine di queste due donne. Non sappiamo se non hanno trovato la persona giusta o se loro stesse siano state incapaci di costruire una relazione significativa, ma in entrambi i casi ciò che deve preoccupare è questa povertà affettiva che segna in modo sempre più significativo l’esperienza umana contemporanea.
Ancora una volta le nostre macchine non fanno altro che riflettere e evidenziare i nostri limiti e i nostri problemi. Certamente, anche davanti a questi episodi limite, gli sviluppatori di IA dovranno ripensare meglio e progettare con più attenzione le modalità relazionali con cui la macchina interloquisce con gli utilizzatori umani. Ma questo doveroso miglioramento tecnologico non risolverà la questione.
La solitudine è il vero problema, l’incapacità di relazione autentiche e affettivamente cariche deve preoccupare. Senza raggiungere le situazioni limite degli episodi appena raccontati, tante persone (anche molto giovani) si rivolgono all’intelligenza artificiale per trovare compagnia ed essere ascoltati. Naturalmente non c’è nessuna compagnia e nessun ascolto, e forse tanti lo sanno. Però è semplice, comodo, poco costoso, mai deludente, come purtroppo non di rado accade tra le persone reali. Inoltre, e qui il dettaglio delle due storie è particolarmente preoccupante, l’IA permette all’utente di confezionarsi il partner tecnologico secondo i propri gusti, sempre modificabile e cancellabile alla bisogna. Le persone non sono così, e quello che sembra oggi un problema forse è in realtà una benedizione da riscoprire.
In questa solitudine amplificata dalla tecnologia, la comunità cristiana con la sua proposta di fraternità vera e carnale ha qualcosa di grande da offrire all’umanità.