Le parole sono importanti, i nomi ancora di più. E se si tratta di commercio e alimentazione, i produttori italiani, che lottano quotidianamente con fenomeni come l’italian sounding, lo sanno benissimo. Ecco perché l’attenzione su questo tema è sempre alta, e le decisioni prese dagli organi competenti per tutelare i prodotti alimentari sono fondamentali.
Di recente si è per esempio tornati a parlare di meat sounding, ovvero l’uso che molti allevatori ritengono improprio del termine “carne”, e dei suoi correlati, per prodotti che a base di carne non sono. Su questo a pronunciarsi di recente è stato il Parlamento europeo che, approvando a ottobre le modifiche al Regolamento sull’Organizzazione comune dei mercati (Ocm), ha approvato anche uno stop all’utilizzo di ben 29 termini come “hamburger”, “salsicce” o “bistecche”, ma anche “bacon” e “pollo”, per i prodotti vegetali o sintetici. Sono diciture che oggi sono permesse a condizione che sia chiaramente indicato nella confezione che si tratta di alimenti di origine vegetale. È una battaglia che Coldiretti, assieme ad altre associazioni agricole europee, porta avanti da anni allo scopo dichiarato di proteggere i consumatori da pratiche ingannevoli e di rafforzare il settore zootecnico europeo.
La revisione del Regolamento Ocm non è automatica, dovrà ora passare per la fase del negoziato tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue (detto “Trilogo”), il cui esito non è scontato. Tuttavia per Coldiretti il voto del Parlamento rappresenta un segnale politico di grande rilievo per la sostenibilità delle aziende agricole e per rafforzare sovranità e sicurezza alimentare dell’Europa, in un contesto di tensioni commerciali e incertezze sul futuro quadro finanziario europeo.
«Bistecche, salsicce e hamburger – ha dichiarato anche Giuliano Marchesin, direttore di Unicarve, associazione di produttori bovini da carne con sede a Legnaro – hanno più storia dei cibi processati plant based (a base vegetale) che usano impropriamente queste definizioni. Chi ha votato contro, secondo me, non ha cultura del cibo e del lavoro agricolo: in gioco c’è la sicurezza alimentare di quasi 500 milioni di consumatori europei e la qualità dell’alimentazione».
Non tutti sono però d’accordo su questa scelta: una rete internazionale di oltre 450 associazioni attive sul fronte dei diritti animali, dell’ambiente e della tutela dei consumatori è contraria a questa nuova ipotesi di normativa, e ha promosso una campagna denominata “No confusion” (www.noconfusion.org). Secondo questa rete, non c’è necessità di questa ingerenza comunitaria, perché, come evidenziato da alcune ricerche, i consumatori quando scelgono un prodotto a base vegetale sarebbero pienamente consapevoli di quello che stanno acquistando, nonostante il nome si rifaccia a prodotti a base di carne. Al contrario, proprio il richiamo a termini ormai diffusi in ambito culinario come “burger” o “bistecca”, legati anche alla forma con cui è proposto un cibo e non solo alla sostanza, renderebbe di più immediata comprensione la tipologia e l’utilizzo del prodotto, a tutto vantaggio del consumatore. Anche in questo caso a farla da padrone è l’aspetto economico: secondo Gfi Europe, le vendite al dettaglio di prodotti plant-based (a base vegetale) sono in crescita e nel 2023 hanno raggiunto 5,4 miliardi di euro nei sei principali mercati europei.
Il Parlamento europeo a ottobre non si è limitato a occuparsi di carne: sono stati fatti passi avanti verso l’apposizione di un’etichetta d’origine su tutti i cibi, sulla preferenza dei prodotti di origine comunitaria e locale in mense e appalti pubblici e sull’introduzione di contratti obbligatori scritti nelle filiere agroalimentari.