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L'Aclista padovano
L'Aclista padovano #03 2025

mercoledì 17 Dicembre 2025

Case dei bambini. Mamme in aiuto di altre mamme

Servizi per l’infanzia. L’esperienza altamente innovativa partita negli anni Novanta a Padova può dare molto ancora ai giorni nostri
Federica Bruni

Alla fine degli anni Novanta in Veneto è emersa una pressante richiesta di servizi per la prima infanzia. Era limitato il numero di posti negli asili nido, l’orario terminava alle tre del pomeriggio e c’erano chiusure per le vacanze estive e invernali. Ma molte donne lavoravano, avevano turni, anche pomeridiani. La disponibilità dei nonni a occuparsi dei piccoli era diminuita perché molti non erano in pensione, oppure non abitavano vicino ai nipoti. Inoltre, come emerso da una ricerca condotta dal demografo padovano Dalla Zuanna, le famiglie con più figli preferivano una gestione “mista” con baby sitter alternati ai nonni perché l’asilo espone a complicati equilibrismi organizzativi nel (frequente) caso di malattie dei bambini.
In quel periodo all’Ufficio circoli delle Acli di Padova si presentavano gruppi di mamme decise a promuovere servizi per altre mamme. È cominciata così una esperienza associativa e formativa che successivamente ha preso il nome di Case dei bambini.
C’era molto “veneto operoso” nei progetti di queste mamme. Alcune mettevano a disposizione uno stabile (libero, dopo che il papà falegname era andato in pensione), altre avevano spazi al piano terra della propria casa. Avevano esperienza come baby sitter, animatrici in parrocchia, capi scout. Amiche che avevano condiviso le esperienze come mamme e poi avevano continuato a frequentarsi e aiutarsi. Questa la spinta fondamentale: sostenere altre mamme.
Molti sopralluoghi, riunioni per capire come strutturare i servizi, serate a studiare gli statuti associativi. Altrettanto tempo per definire i rapporti di lavoro, vicenda che le Acli conoscono bene perché erano numerosi i circoli che assumevano collaboratori per realizzare corsi, ristorazione, eventi.

stituirsi come circolo Acli di genitori e promuovere un servizio che non fosse solo un asilo, bensì un luogo dove confrontarsi, costruire legami, avviare un dialogo con gli altri soggetti del territorio. Si valorizzava il senso di responsabilità delle famiglie verso la comunità, era un “processo partecipativo”, nel quale gli utenti erano anche i promotori dei servizi di cui avevano bisogno.
In poco tempo le Case dei bambini sono diventate 25, e altre si aggiungeranno in pochi anni in tutta la provincia.
Nel 2002 si promuove un corso del Fondo sociale europeo per operatrici di servizi innovativi alla famiglia, frequentato da undici donne che, terminata l’attività con i bambini, venivano a lezione fino alle 11 di sera. Sono intervenuti esperti di settore, funzionari dei servizi pubblici, ricercatori dell’Università. Non si trattava solo di acquisire competenze educative e di gestione dei servizi, si voleva capire il valore di questa esperienza, come poteva integrarsi con i servizi esistenti e svilupparsi.
È stata la Fondazione Zancan a dare una lettura di questa esperienza, a definirla come “welfare leggero”, che completa l’offerta dei servizi strutturati e istituzionali con proposte più flessibili, distribuite nel territorio, disegnate sulle risorse e necessità delle famiglie.
Nel 2004 si partecipa al bando regionale “Reti di famiglie e di solidarietà per l’infanzia”. Questa la finalità del progetto: «Verificare se è possibile offrire a tutti i bambini pari opportunità di accesso a reti familiari, capitale sociale e partecipazione. La verifica avviene attivando il sistema formato dall’associazione Acli di Padova e dalla 25 associazioni affiliate».
Nello stesso periodo, a partire dagli anni 2000, la Regione pubblicava provvedimenti per diversificare i servizi per la prima infanzia: micronidi (per un numero di bambini da 12 a 30), i nidi aziendali (collocati vicino al posto di lavoro dei genitori), i centri di infanzia (con accesso anche a bambini fino ai 5 anni). Gli orari diventavano flessibili, e l’accesso poteva avvenire in periodi e orari diversi dal solito.
Tante famiglie così trovavano risposta nei nidi pubblici e privati. Però era anche un processo di istituzionalizzazione, con criteri di accreditamento per garantire qualità, procedure amministrative e adempimenti burocratici periodici. In questa fase molte Case dei bambini hanno dovuto modificare la propria organizzazione, affrontando costi di personale e investimenti strutturali che hanno messo in secondo piano l’attività associativa.
Nel 2007, attraverso la cooperativa Città Solare, le Case dei bambini hanno partecipato al bando per la sperimentazione dei nidi in famiglia con il progetto “Reti di mamme”. Alcune Case si sono così riconvertite a questa tipologia di servizio, che però prevede l’accoglienza di soli sei bambini accuditi da una lavoratrice autonoma, un modello che non incoraggiava l’associazionismo tra genitori.
Potrà questa esperienza trovare nuovo slancio associativo?

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