Idee
Tra una riunione cruciale del Consiglio europeo e il problematico varo del nuovo decreto sulle armi all’Ucraina, la politica estera conferma la sua centralità anche rispetto agli assetti interni, tanto più dopo l’ennesima giravolta di Trump (ma stavolta il passo sembra più decisivo di altri, forse quasi irreversibile). E’ difficile star dietro ai fatti, c’è il rischio di essere repentinamente superati o contraddetti. Eppure l’analisi, se ci si sgancia dalla cronaca quotidiana, offre degli spunti che alludono ad alcune costanti nei comportamenti e nei posizionamenti delle forze politiche. Il caso più evidente è quello della Lega e del M5S. I due partiti appartengono a schieramenti contrapposti e nelle recenti elezioni regionali lo hanno dimostrato concretamente al di là delle dichiarazioni di principio. Ma in politica estera sembrano ogni volta rievocare i tempi del governo giallo-verde quando, dopo le politiche del 2018 e in non casuale concomitanza con il primo mandato di Trump, i due partiti “populisti” (termine non sgradito agli interessati) diedero vita al più imprevedibile degli esecutivi della Repubblica, il cui collante principale era proprio l’atteggiamento anti-europeista. E oggi Matteo Salvini e Giuseppe Conte rappresentano nei rispettivi schieramenti le “spine” politiche nel rapporto con l’Europa.
E’ proprio l’Europa, del resto, la vera discriminante della nostra politica estera. Lo è in un modo diverso e ancora più pregnante rispetto al passato quando il legame euro-atlantico – che pure storicamente non è stato privo di accenti dialettici – sembrava un punto fermo nell’avvicendarsi dei governi e delle maggioranze. Giorgia Meloni è stata pronta a cogliere questo aspetto che, insieme alla stabilità dell’esecutivo da lei presieduto, le ha consentito di assumere una postura gestibile sul piano internazionale nonostante muovesse da premesse storico-politiche obiettivamente ostiche. Su questo asse ha trovato la sponda più autorevole nel presidente della Repubblica che non perde occasione per richiamare la necessità di un rapporto strategico con gli Stati Uniti. Ma se da un lato c’è la limpida coerenza di Sergio Mattarella, dall’altro c’è un leader tanto potente quanto inaffidabile. Con l’attacco frontale alla Ue e l’ormai famoso documento del National Security Strategy, Trump ha cambiato le coordinate della politica americana nei confronti dell’Europa e in termini globali c’è solo da sperare che prima o poi il pendolo di Washington nelle sue parossistiche oscillazioni finisca per ritrovarsi su posizioni meno ostili. Quanto al discorso interno, l’intemerata del presidente Usa rende sempre più arduo il tentativo della premier italiana di tenere insieme il rapporto con l’Unione e quello con gli Stati Uniti. Sperando che non arrivi mai – anche se secondo alcuni analisti il limite è stato già superato – il momento di dover drasticamente scegliere tra i due versanti.
Meno arduo, ma soltanto perché non ha in atto ruoli di governo, appare il compito di quella che resta la principale antagonista della Meloni nonostante il mancato duello alla festa di Atreju, Eddy Schlein. La leader del Pd ha però un problema ancora più radicale che la premier non ha mancato di sottolineare polemicamente: deve ancora ricevere l’investitura a capo della sua coalizione. Il che conferisce alla posizione di Conte sull’Europa un carattere molto più insidioso di quella di Salvini.