Fatti
Cittadella & Montagnana. Carenza in corsia: arrivano medici stranieri
Cittadella & Montagnana. Nei due pronto soccorso operano quattro medici sudamericani. Barutta: «Segno che le strutture si ritrovano con l’acqua alla gola»
Cittadella & Montagnana. Nei due pronto soccorso operano quattro medici sudamericani. Barutta: «Segno che le strutture si ritrovano con l’acqua alla gola»
La carenza di personale medico non è un certo problema nuovo nella sanità veneta e nazionale in generale. Tanto da costringere le aziende sanitarie a ricorrere alle cooperative, con ingaggi mediamente più costosi dell’assunzione di personale proprio. Ma che soprattutto porta all’inserimento di medici stranieri in alcuni reparti chiave degli ospedali, con le relative perplessità sulla loro preparazione professionale. Da qualche mese la questione si è palesata soprattutto nell’Ulss 6 Euganea, con l’impiego di quattro medici sudamericani nei pronto soccorso di Cittadella e Montagnana. «Sia ben chiaro: nessun pregiudizio verso i colleghi di un altro Paese – precisa Luca Barutta, segretario del sindacato di categoria Anaao (associazione Nazionale aiuti e assistenti ospedalieri) – Lavorando fianco a fianco con molti stranieri per tutta la mia carriera, ne ho trovati di bravi e preparati. La questione è, piuttosto, se abbiano alle spalle un adeguato percorso formativo o meno. Il controllo spetta all’Ordine dei medici competente per provincia. Riguarda le competenze e le conoscenze professionali specifiche, come pure la padronanza della lingua, fondamentale nel rapporto con il paziente. Ma con l’ennesimo decreto “Milleproroghe” il Governo ha spuntato gli strumenti di controllo, permettendo ancora l’assunzione di esterni. Chi sta ai vertici delle strutture ospedaliere continuerà a ricorrervi, perché si ritrova con l’acqua alla gola. Nonostante i richiami della stessa Regione Veneto». Tutto parte da qui: da tempo gli organici ospedalieri sono sottodimensionati. Continua Barutta: «Già nel 2010 circolavano dati sui tanti medici che se ne sarebbero andati senza essere rimpiazzati». La flessione si materializza nel 2019. «Per tutta risposta la Regione decide di usare i neolaureati non specializzati. Poi arriva il Covid, creando l’emergenza che si protrae tuttora. Aggiungiamo la fuga generale dal pubblico, per gli orari insostenibili e gli stipendi bassi. C’è chi ha preferito rifugiarsi nel privato, proprio per questi due motivi. Chi si è licenziato e fa il medico di base. Per non parlare di quei professionisti che evitano come la peste certi ospedali e reparti, per le troppe responsabilità che richiedono».