La fiaccolata della pace a Padova a un anno dalla guerra in Ucraina

Nel giorno del primo triste anniversario dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, venerdì 24 febbraio 2023, davanti al Duomo a Padova si sono riuniti duemila cittadini per chiedere a tutte le forze coinvolte di deporre le armi. La manifestazione è una tra le 75 organizzate in tutta Italia, promosse dal coordinamento Europe for peace. A Padova la mobilitazione ha visto l’adesione del Comune, dell’Università, delle associazioni del territorio appartenenti alla rete Uniti per la Pace e della Diocesi.

Francesca Campanini

collaboratrice

Bandiere della pace vengono sventolate tra la folla, mentre le persone in prima fila reggono le fiaccole che porteranno in corteo fino a Palazzo Moroni. Il messaggio di pace, forte e chiaro nella piazza, trova conferma anche nelle parole di suor Francesca Fiorese: «Tutti siamo uniti per dire che la pace è possibile. Ma la pace è possibile solo se cessa il linguaggio delle armi, è questo che chiediamo. Le armi portano solo morte, serve iniziare un nuovo dialogo e serve crederci prima di tutto. In piazza vogliamo mostrare che questo è il pensiero della maggior parte delle persone, che abita il cuore di tutti i popoli. La pace si fa con il dialogo, non rispondendo alle prevaricazioni con altrettante prevaricazioni».

Dopo la lettura di testimonianze di pacifisti sia ucraini che russi davanti al Duomo, di fronte al municipio è l’assessora alla cooperazione internazionale e pace Francesca Benciolini a prendere parola, confermando l’impegno del Comune di Padova nel chiedere la fine del conflitto: «Padova ancora una volta si incontra in questo spazio che unisce l’Università e il Comune, un luogo simbolico di cultura e decisioni. Cittadini e cittadine del territorio intorno si riuniscono per dire no alla guerra. Nella nostra città vivono tante persone ucraine che ci fanno capire che finché esisterà una realtà che uccide, porta violenza e tortura, che allontana le famiglie, distrugge le scuole e gli ospedali qualcosa non funzionerà. La guerra non è la risposta. Le guerre non scoppiano e basta, sono la fine di un processo, per questo devono essere prevenute. Se oggi chiediamo la pace è perché non vogliamo essere qui tra due anni a dire che la guerra sta continuando ancora».

A seguire l’intervento di Marco Mascia, professore dell’Università di Padova, che ribadisce come la cultura e l’educazione alla pace siano le risposte per prevenire i conflitti: «Per tutelare il diritto alla pace bisogna disarmare, bisogna costruire e sviluppare la cultura universale della pace e dei diritti umani. I dati che provengono dal SIPRI di Stoccolma sul disarmo sono allarmanti: l’anno scorso il mondo ha superato i duemila miliardi di dollari per le spese militari. Il mondo si sta armando, dappertutto, così le guerre continuano a crescere».

Quella pacifista a Padova pare un’iniziativa dal basso, che però si aspetta risposte dai vertici. A sottolinearlo è don Luca Facco, vicario episcopale della Diocesi di Padova: «Le manifestazioni come questa di Padova e delle altre città in Italia e in Europa sono esempi concreti di come si può continuare a premere sull’opinione pubblica, perché sempre più la politica prenda in considerazione questo desiderio che parte dal basso. Dobbiamo continuare a credere nella pace, che parte da dentro di noi ma deve arrivare a pretendere che tutti gli Stati facciano il possibile per arrivare a un trattato, per il bene delle persone: sia degli ucraini che dei soldati russi. Pace per tutti».

Pace per tutti è la parola chiave della manifestazione. Uno spazio infatti viene riservato anche ai profughi di tutte le altre guerre. Monica Mazzucato della Comunità Sant’Egidio insiste sull’importanza dei corridoi umanitari per aiutare i rifugiati che scappano dai conflitti che troppo spesso dimentichiamo: «I corridoi umanitari vengono incontro ai profughi in fuga dalla Siria, intrappolati nei campi del Libano, in Libia, in Bosnia, sulle isole di Lesbo e Cipro… Per quelli che scappano dall’Afghanistan in Iran e in Pakistan. Più che un progetto, anche i corridoi umanitari sono una rivolta spirituale contro la guerra».