Fatti
I negozi di prossimità sono ancora una risorsa, nonostante centri commerciali e-commerce
Nonostante centri commerciali ed e-commerce, per i cittadini sono un presidio di sicurezza e di comunità
Nonostante centri commerciali ed e-commerce, per i cittadini sono un presidio di sicurezza e di comunità
C’ era una volta il negozio di alimentari sotto casa, in città come nei paesi di periferia. Poi i centri commerciali e l’e-commerce si sono abbattuti prepotentemente nel mercato, stravolgendo le abitudini dei consumatori e lasciando le briciole agli esercizi commerciali di prossimità. Questo almeno è quello che solitamente si percepisce, ma andando più a fondo si scopre che le cose non stanno esattamente così. Lo rileva, per esempio, un recente studio di Ascom Confcommercio secondo il quale gli italiani ritengono i negozi di vicinato insostituibili: nell’indagine, infatti, realizzata in collaborazione con Swg nell’ambito del progetto Cities, che si occupa di contrasto alla desertificazione commerciale nelle città italiane e di sviluppo del valore sociale delle economie di prossimità, emerge che i negozi rafforzano le comunità (per il 64 per cento degli intervistati), aumentano la sicurezza (57 per cento) e, cosa che non guasta, fanno crescere il valore delle abitazioni, fino al 26 per cento in più. «Soprattutto durante la pandemia ci siamo resi conto di quanto le piccole attività commerciali siano state fondamentali per mantenere un legame anche sociale tra consumatore e venditore.
C’è un rapporto di conoscenza dei gusti, delle abitudini, delle esigenze che nessun e-commerce o centro commerciale potrà mai sostituire». Ne è convinto Patrizio Bertin, presidente di Confcommercio Padova, che legge con fiducia sia il presente che il futuro dei negozi sotto casa, malgrado dati non propriamente confortanti. Esiste infatti un modello chiamato “la città di 15 minuti” secondo il quale i residenti dovrebbero trovare la maggior parte delle necessità quotidiane (anche un negozio alimentare) entro questo lasso di tempo. A Padova città solo la metà dei cittadini possono fare la spesa entro il quarto d’ora dalla propria residenza, percentuale che si assottiglia ulteriormente se parliamo di alimentari. «I dati non sono confortanti ma guardiamo al contesto: ci sono sempre meno famiglie numerose e molti single che non necessitano di grandi spese, dunque il modello del centro commerciale non è più così attrattivo, mentre lo sono i negozi sotto casa. Sono un presidio “sociale” per il rapporto con i clienti, ma tutelano anche la sicurezza cittadina restando aperti tutto il giorno. Infine stiamo notando come molti giovani o aprono nuove attività, o ne rilevano di esistenti puntando sull’innovazione di beni e servizi, stuzzicando i consumatori con nuove idee commerciali». Anche le rilevazioni della Camera di Commercio di Padova offrono un quadro con luci ed ombre: a fronte di una crescita delle imprese attive dal 2022 al 2023 (più 99) si registra un calo dei negozi al dettaglio, mentre crescono gli esercizi che offrono servizi alla persona, le agenzie di noleggio e viaggio e i negozi sanitari. «Spesso siamo di fronte a realtà che non hanno un ricambio generazionale – commenta Antonio Bressa, assessore alle Attività produttive e al commercio del Comune di Padova– Ci sono comunque investimenti in nuove aperture che non sempre compensano completamente le chiusure, ma permettono alla città di Padova di avere una buona dotazione di negozi di vicinato. Le attività di vendita sono in difficoltà non per dinamiche locali ma globali: ormai i centri commerciali e il commercio online sono colossi con cui dobbiamo fare i conti. Dal canto nostro abbiamo messo in campo politiche di incentivi fiscali per i negozi di vicinato e abbiamo bloccato nuove aperture di centri commerciali, non rilasciando nuove concessioni. Dobbiamo abituare il consumatore a uno stile di vita che è per l’appunto quello della città dei 15 minuti, va premiata l’offerta capillare nei quartieri».
In un’indagine pubblicata a luglio del Centro studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, in collaborazione con Il Sole 24, emerge che in Italia solo il 39 per cento dei cittadini ha un negozio alimentare a 15 minuti a piedi dalla propria abitazione. Con lo sguardo al Veneto, si osserva che Venezia si colloca al 46° posto nazionale, Verona al 76° posto, mentre il Vicentino è all’85° posto. Peggio le altre province: a Padova solo il 27,8 per cento della popolazione è vicina a un alimentari (97° posto in classifica), a Rovigo il 26,9 per cento (101° posto), a Treviso il 24,6 per cento (104° posto) e fanalino di coda è Belluno, dove ha un negozio di alimentari raggiungibile in un quarto d’ora solo il 21,7 per cento della popolazione. Sono Barletta-Andria-Trani, Bari e Cagliari le tre province dove è più facile trovare un negozio sotto casa con una media del 60 per cento.
Secondo l’indagine condotta da Confcommercio e Swg, in tutti i Comuni, sia piccoli che grandi, i negozi vengono addirittura prima degli spazi verdi e dei servizi pubblici come scuole, ospedali, centri sportivi. L’88 per cento degli intervistati, poi, abbina alla presenza di negozi la scelta del quartiere nel quale andare a vivere: «L’indagine – conclude Patrizio Bertin – conferma che le chiusure sono maggiormente percepite nelle città tra 100 e 250 mila abitanti (dunque anche Padova), meno nelle altre».