Fatti
Regione Veneto. C’è un piano per la sanità
In Regione è stato approvato uno strumento di contrasto alla carenza di personale che prevede 150 milioni di euro in tre anni
In Regione è stato approvato uno strumento di contrasto alla carenza di personale che prevede 150 milioni di euro in tre anni
È stato deliberato a metà agosto il nuovo Piano regionale di contrasto alla carenza dei medici. Il cuore dell’iniziativa si compone di azioni trasversali e altre più mirate, rivolte a profili specifici: «Sarà avviata una cabina di regia sulla carenza di personale nel Sistema sanitario regionale, coordinata dall’assessore alla Sanità e composta dai dirigenti regionali che si occupano del tema e in particolare della gestione del personale – spiega una nota della Regione – Tra le iniziative più importanti si prevede l’attuazione di strategie per incrementare il benessere del personale, promuovendo stili di leadership supportivi». Un piano da 150 milioni di euro per il triennio 2024-2026, di fatto per incentivare il personale con stipendi più alti e garantire un ambiente di lavoro meno stressante. In aggiunta, è stato approvato un progetto di legge anche questo come incentivo per le professioni mediche in aree periferiche: «Valutiamo positivamente le azioni della Regione volte a costituire un piano di contrasto alla carenza di personale del servizio sociosanitario regionale e pure il nuovo progetto di legge per incentivare le professioni mediche in aree disagiate – commenta Marco Bussone, presidente nazionale Uncem, l’Unione nazionale di Comuni, comunità ed enti montani – Servono azioni dei Comuni, anche con studi medici messi a disposizione gratuitamente, come già tantissimi fanno, e risorse economiche per sostenere i medici. Ci impegneremo con tutti i parlamentari per un percorso virtuoso a vantaggio di sanità territoriale, garanzia di servizi, tutela della salute con personale medico adeguato» Anche Domenico Crisarà, presidente dell’Ordine dei medici e degli odontoiatri di Padova, saluta con favore il nuovo piano regionale, con alcune riserve: «Servono interventi economici veri, per sostenere chi decide di lavorare in zone disagiate, che noi chiamiamo a maggior impegno professionale. Sono tali le aree scarsamente popolate, disperse sul territorio, il che vuol dire montagna ma anche alcuni Comuni del Rodigino o delle isole di Venezia. Chi lavora lì deve avere una motivazione non solo economica. Bisogna fornire sostegno di personale (leggi, infermieri), così come tecnologie, ausili per la telemedicina e i teleconsulti, in modo che i medici riescano a integrarsi e avere pareri di secondo e terzo livello in tempi rapidi». Sembra andare proprio in questa direzione la serie di convenzioni che l’Azienda Ospedale-Università di Padova ha sottoscritto di recente con l’Ulss 1 Dolomiti: l’azienda patavina si è messa a disposizione per supportare i medici della provincia di Belluno in difficoltà per la carenza di personale e le lunghe liste d’attesa. «C’è differenza tra un medico che lavora in centro a Padova e un suo collega del Cadore, e lo stesso vale per gli specialisti – spiega Crisarà – Non tutti sono portati per restare per tutta la vita in aree periferiche, in particolare i giovani: potrebbero essere incentivati a lavorare i primi anni nelle aree marginali, acquisendo una stabilità economica ed esperienza, per poi trasferirsi in aree più ambite dopo alcuni anni. Quello della Regione è un buon inizio ma bisogna vedere come si svolgerà. In questo momento i maggiori abbandoni sono donne tra i 40 e 50 anni che trovano alternative soprattutto nel privato. Bisogna riflettere: perché i contratti privati sono più attrattivi? Ci sono accordi nazionali sui quali però le regioni hanno un margine di azione». Sulla carenza di medici la Regione, tramite l’assessora alla sanità Manuela Lanzarin, fornisce la propria versione: «Prevediamo un numero elevato di uscite dal sistema sanitario per quiescenza e dimissioni precoci. Al contempo aumenterà la richiesta di prestazioni sanitarie per il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento di patologie croniche. L’età media del personale infermieristico in cessazione dal Ssr per quiescenza è stata di 61 anni nel 2023; ne consegue la previsione che entro i prossimi dieci anni quasi il 50 per cento del personale potrebbe cessare la propria attività presso le aziende sanitarie pubbliche venete». Secondo Crisarà, tuttavia, il problema va affrontato con una migliore programmazione: «I medici non mancano (a eccezione di quelli di base): il problema è una programmazione sbagliata. Tra i Paesi Ocse siamo tra quelli con un rapporto più alto medico/cittadini. È una questione di visione, a livello nazionale come locale».
La criticità relativa alla carenza di personale è influenzata anche dal numero elevato di dimissioni inattese: si intendono tutte quelle uscite dei professionisti dal Sistema sanitario pubblico prima di aver maturato l’età contributiva o anagrafica per la quiescenza. Secondo i dati trasmessi dalla Regione, risulta che nel corso dell’anno 2023, sul totale delle dimissioni del personale infermieristico, in Veneto il 54 per cento era costituito da dimissione inattesa, mentre per il personale medico il dato risulta ancora più elevato rappresentando il 67 per cento delle cessazioni.