Bloccati in tutti i modi, legali e illegali, in qualche caso in aperta violazione dei diritti umani. Sempre più spesso, famiglie separate. Una corsa a ostacoli che prevede soste lunghe, a volte definitive, o ritorni alla “casella precedente”. Come nel “gioco dell’oca”. Per i migranti venezuelani, però, il sospirato arrivo non è previsto. Si sta rivelando un “inferno” la rotta nord dei migranti, spesso richiedenti asilo, verso gli Stati Uniti. L’esodo dal Paese sudamericano procede inesorabile, nonostante l’allentamento dell’isolamento internazionale del regime di Maduro e il piccolo miglioramento della comunque tragica situazione economica: secondo i dati dell’agenzia Onu per i rifugiati, l’Unhcr, il numero di venezuelani usciti dal Paese negli ultimi anni ha raggiunto la cifra di 7 milioni e 130 mila.
“Dopo dieci anni credo che possiamo vedere che Papa Francesco non parla di un’altra teologia, non è teologia della ‘Pachamama’, ma quella del Concilio Vaticano II, nient’altro che le teologia del Concilio Vaticano II”, spiega al Sir Emilce Cuda, teologa argentina, già docente presso la Pontificia Università Cattolica Argentina e presso la St. Thomas University, negli Stati Uniti, e attualmente segretaria della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), oltre che componente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali e della Pontificia Accademia per la Vita
Se in tutta l’Argentina, come chiesto dalla Conferenza episcopale, si tengono nei giorni immediatamente precedenti o seguenti il 13 marzo numerose messe, veglie, momenti di preghiera, ciò accade a maggior ragione in ogni quartiere, in ogni “villa miseria”, in ogni cappella della periferia di Buenos Aires. Il Sir ha intervistato padre José Maria “Pepe” Di Paola, coordinatore dei “curas villeros”, parroco nella comunità di San Giovanni Bosco, a Villa Carcova, oltre che coordinatore nazionale della Pastorale delle dipendenze
È destinato ad aggravarsi il bilancio delle vittime del maltempo che ha investito il litorale dello Stato brasiliano di San Paolo, mentre le parrocchie e le Caritas si stanno prodigando, fin dal primo momento, per offrire riparo e aiuto alla popolazione colpita.
Una crisi che pare senza fine. Una matassa sempre più aggrovigliata. Il Perù assiste da due mesi a una protesta sociale che ha paralizzato il Paese, sempre più spaccato tra il “centro” di Lima e l’enorme periferia della “sierra” andina, della “selva amazzonica”, dei grandi altipiani e delle profonde vallate, che solcano un territorio più grande di Italia, Francia e Germania messe assieme. Circa sessanta morti, centinaia di feriti, devastazioni, blocchi stradali, quasi quotidiani assalti ad aeroporti, istituzioni e imprese, 200 mila persone che sono, appunto, scese dalle Ande per “accamparsi” nella capitale.
“Non posso, qui, non ricordare con preoccupazione il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere”. Sono le parole con le quali Papa Francesco si è riferito, domenica 12 febbraio, alla situazione del Nicaragua, dopo la recita dell’Angelus. Le parole del Papa, assieme ai messaggi di vicinanza e preghiera che stanno giungendo da molte parti (tra cui dal Consiglio episcopale latinoamericano - Celam), fotografano la fortissima impressione suscitata dalla durissima condanna a 26 anni subita da mons. Rolando José Álvarez Lagos, vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico della diocesi di Estelí, al termine di un processo praticamente inesistente, condotto in spregio a qualsiasi garanzia
“Qui è tutto distrutto, almeno il 60% del vasto territorio della nostra comunità, 730 kmq prevalentemente rurali. Ho visto con i mei occhi 80 case bruciate, ma sono sicuramente molte di più. Centinaia di famiglie che hanno perso tutto. A fuoco anche quattro cappelle, le chiese punto di riferimento la vasta parrocchia, in una si è perfino fuso il cemento”. È un vero inferno, quello che descrive al Sir padre Ricardo Valencia, parroco dell’Immacolata Concezione, che coincide con l’ampio territorio comunale, nella regione del Biobío e nell’arcidiocesi di Concepción.
«La proposta Calderoli? Frettolosa, ed è la premessa per non fare nulla». È categorico il giudizio di Gianclaudio Bressa, bellunese, parlamentare dal 1996 al 2022, prima nel Partito popolare, poi nella Margherita, e infine nel Pd.