È di nuovo gravissima la situazione dei contagi da Covid-19 in tutto il Brasile, nel pieno di una nuova ondata che sta provocando negli ultimi giorni numeri record, superiori alla prima ondata, quando mai erano stati superati i 2.000 morti giornalieri: ora i morti sono circa 2.200-2.300 ogni 24 ore, giovedì 11 marzo si sono registrati oltre 75mila nuovi contagi, i numeri totali sono arrivati a oltre 11 milioni e 300mila casi e a circa 273mila decessi. La diffusione della pandemia è trascinata dalla famosa “variante brasiliana”, che dopo essere partita dal Nord amazzonico, ha ora interessato tutto l’enorme Paese, particolarmente le grandi città dell’Est e del Sud, e soprattutto i tre Stati meridionali, Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul. Tra le recenti vittime anche dom Mauro Aparecido dos Santos, arcivescovo di Cascavel (Paraná). L’allarme giunge al Sir da dom Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre, capitale del Rio Grande do Sul (lo Stato brasiliano più meridionale) e primo vicepresidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile
Chiamati a “praticare le buone opere” in favore della popolazione per proteggerla dal contagio del Covid-19, che sta colpendo duramente il Paese, in questa seconda ondata.
Mons. Rubén Darío Jaramillo, vescovo di Buenaventura in Colombia ha subito recentemente minacce di morte da parte di gruppi criminali, che ostentano il proprio potere sulla città, primo porto colombiano del Pacifico e snodo strategico per tutti i tipi di traffico, compresi quelli illeciti, a partire dal narcotraffico. Agli occhi dei criminali, la “colpa” di mons. Jaramillo è quella di aver sollevato il “caso Buenaventura”, reso evidente dalla “catena umana” promossa qualche settimana fa, espressione corale di una comunità stanca e impaurita, ma capace di reagire alla violenza continua. Da quel momento, anche uno Stato, com’è quello colombiano, spesso “assente” nelle periferie, ha “dovuto” dare un segnale. Polizia ed esercito si sono installati in città, con qualche risultato
“Sono soprattutto famiglie, donne, bambini, mamme incinte, disabili, perfino in persone in carrozzina”. È quello che ti dicono tutti, quando chiedi di descrivere chi sono i venezuelani che continuano a fuggire, a migliaia, dal loro Paese, trovando sempre più spesso l’esercito ad attenderli e a bloccarli ai passi di frontiera. All’inizio erano intellettuali, oppositori politici, persone laureate. Poi hanno cominciato ad andarsene i padri di famiglia, i giovani. Ora fuggono tutti. I viaggi della disperazione investono tutto il Sudamerica e in particolare i Paesi andini. È forte il grido d’aiuto che arriva al Sir dagli operatori della Pastorale dei migranti, da religiose, religiosi, missionari.
Il Messico non ha, in questi mesi, conosciuto una prima e seconda ondata, come accaduto quasi ovunque, ma un’unica e ininterrotta emergenza, gestita in modo inadeguato dalla politica. Sono circa 175mila i morti (al terzo posto dopo Stati Uniti e Brasile), con un rapporto tra persone risultate positive e decedute che non ha uguali al mondo. Alla situazione sanitaria si accompagna la preoccupazione per la crisi economica e occupazionale: si stimano 19 milioni di poveri provocati dalla pandemia. La Caritas messicana ha avviato il progetto “Familias sin hambre” (“Famiglie senza fame”), raccogliendo anche fondi per acquistare bombole d’ossigeno. Il Sir ne ha parlato con mons. Gustavo Rodríguez Vega, arcivescovo di Yucatán e presidente della Caritas messicana.
A Cuba la situazione economica è al collasso, il turismo è bloccato a causa del Covid-19, mentre con il nuovo anno è stata posta fine alla cosiddetta “doppia valuta” con la conseguente svalutazione della moneta, prezzi alle stelle, perdita del potere d’acquisto del cosiddetto peso convertibile. Il regime, poi, sembra aver rafforzato la repressione dei fermenti di libertà che, mescolati alla crescente protesta per la situazione economica, pure si stanno affermando, specie tra i giovani, anche grazie all’introduzione, negli ultimi due anni, degli smartphone e dei social network. A fotografare la situazione per il Sir, è Dagoberto Valdés Hernandez, fondatore e coordinatore del Centro Convivencia, uno degli intellettuali cattolici più rappresentativi dell’isola, già componente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.
Stanchezza. Rischio di “rilassamento” sulle misure. Paura della nuova ondata, magari con la circolazione della cosiddetta “variante brasiliana”, probabilmente una delle cause del collasso di Manaus e degli Stati amazzonici. Soprattutto, preoccupazione per la fine del sussidio statale, il cosiddetto “Corona-vaucher”, la cui mancanza rischia di mandare sul lastrico milioni di persone. “Sì, per il Brasile questo 2021, anche a prescindere da ulteriori ondate del contagio, rischia per certi aspetti rischia di essere peggiore del drammatico 2020”. A parlare, con il Sir, è dom Giancarlo Petrini, vescovo di Camaçari (Bahia), città satellite di Salvador, una delle maggiori metropoli del Brasile.
Manaus sta vivendo giornate drammatiche, che soli i numeri, pure significativi (oltre 200 inumazioni al giorno di media negli ultimi 4 giorni) non spiegano abbastanza. Ospedali saturi, persone che muoiono in casa, o non ricevono un adeguato trattamento perché è finito l’ossigeno. Per alcune ore, venerdì scorso, si è temuto di dover trasferire in un’altra città i bambini nati prematuri, neppure a loro era garantito l’ossigeno. “La situazione è caotica, il sistema sanitario è collassato. Quando le persone che ottengono un letto in terapia intensiva poi muoiono per mancanza di ossigeno, si deve dire che siamo stati abbandonati”, racconta al Sir l’arcivescovo di Manaus, dom Leonardo Ulrick Steiner