Raggiunto telefonicamente dal Sir, il vescovo ausiliare di Kiev- Žytomyr, mons. Oleksandr Jazlowechi, parla dell’invito ad andare a Kiev, rivolto ieri dal presidente Zelensky al Papa. “Non penso che sia possibile”, dice. “E’ da un anno che stiamo invitando il Papa e stiamo pregando per questa intenzione. Però non è il caso di invitare adesso il Papa. Non abbiamo tanti Santi Padri, ne abbiamo solo uno. Anche il card. Krajewski non è riuscito ad arrivare qui. Aveva detto che sarebbe arrivato più in là possibile ma si è fermato dopo Leopoli ed è dovuto tornare indietro. Quello a cui noi teniamo di più è la sicurezza di Papa Francesco”
Valico di confine slovacco-ucriano, Vyšné Nemecké. C’è un lento ma continuo passaggio di persone che dopo aver passato ore in fila su territorio ucraino, riescono finalmente ad arrivare in Slovacchia dove vengono accolti da militari, operatori e volontari di Croce Rossa, Caritas, Ordine di Malta.
Il volto delle donne nella guerra che si sta combattendo in Ucraina. Sono loro ad aver portato in sicurezza i loro figli e i loro nipoti. Sono uscite dal Paese in macchina, a piedi, sul treno. Hanno salutato i loro uomini e sono andate via. Hanno gli occhi pieni di lacrime ma non si fanno vedere piangere. Ad accoglierle un popolo a braccia aperte. Mai solidarietà è stata così unanime. Hanno sistemato strutture, centri di accoglienza, aiuti di prima necessità. Angelica racconta: “Ci ho messo 5 giorni per uscire dall’Ucraina. Tornare indietro sarà forse impossibile, non abbiamo più dove andare”. Poi si ferma. Alza il viso, cerca lo sguardo e dice: "Avevamo una vita normale. Avevamo tutto. Ora non abbiamo più niente. Questo significa essere rifugiati. È terribile"
Una Chiesa in prima linea negli aiuti umanitari e nella accoglienza dei profughi in fuga dalla guerra. Siamo a Košice, città della Slovacchia orientale, a pochi chilometri dall’Ucraina. Dall’inizio del conflitto, sono arrivati in Slovacchia 260mila persone, con una media di 15mila al giorno. La curia si è dovuta organizzare per gestire le prime fasi dell’emergenza. La macchina umanitaria si è costruita cosi, strada facendo e cambiando secondo le nuove esigenze pratiche che emergevano: dalle coperte all’acqua calda per il latte in polvere dei bambini. “Se non fosse una tragedia – dice il vescovo mons. Cyril Vasiľ -, dovrei essere grato per quello che è successo. Perché questa crisi mi ha fatto vedere il lato più bello della mia chiesa, dei miei sacerdoti, dei seminaristi, della gente”
Si sono concluse oggi a Bratislava le Giornate sociali cattoliche europee. Delegati delle diverse Conferenze episcopali d’Europa, ma anche esperti di politica, economia e social media, per tre giorni, si sono confrontati sulle sfide della transizione demografica, tecnologica e digitale, ecologica. L’evento si è inevitabilmente confrontato con la guerra in Ucraina. “La nostra carità cristiana – ha detto mons. Grušas, presidente del Ccee - ci dia la forza di parlare con le parole di pace a un'Europa spesso divisa”
Per la pace in Ucraina e la riconciliazione dei popoli russi e ucraini. Per la fine di tutti i conflitti e le violenze che insanguinano le terre nel mondo, per i rifugiati che scappano dagli attacchi delle bombe e per le vittime dell’odio.
È cominciata oggi a Bratislava la terza edizione delle Giornate sociali europee. Inizialmente previste per esplorare i nuovi inizi in Europa subito dopo la pandemia di Covid-19, le giornate si sono inevitabilmente confrontate con la guerra in atto in Ucraina a pochissimi chilometri dalla capitale slovacca. Qui, la mobilitazione umanitaria delle istituzioni, di organizzazioni, comunità e individui è stata immensa sin dall’inizio. Risuonano quindi forti le parole di Papa Francesco ai partecipanti: “Si trasformino i muri ancora presenti in Europa in porte di accesso al suo patrimonio di storia, di fede, di arte e cultura; si promuovano il dialogo e l’amicizia sociale, perché cresca una convivenza umana fondata sulla fraternità”
Parla mons. Bohdan Dzyurakh, esarca apostolico dei cattolici di rito bizantino di Germania e Scandinavia. “Ci fa molto male quando si mette sullo stesso piano l’aggressore e la vittima. No, noi non volevamo questa guerra e non la vogliamo adesso. Vogliamo la pace ma la pace che vogliamo, non è la distruzione del nostro essere ma il ristabilimento della giustizia”. E su Putin e Zelensky dice: “Non parlerei di due leader. C’è il leader di uno Stato aggressore che fa tremare tutto il mondo e c’è un leader scelto democraticamente dal popolo ucraino che in queste drammatiche circostanze sta cercando di difendere il proprio popolo, la propria dignità e l’esistenza stessa dello Stato ucraino”
“C’è una resistenza dell’umanità anche nei luoghi di conflitto, dove sembra prevalere la barbarie, dove si decidono le sorti di tanti innocenti”. E questa resistenza è “il principio di fraternità che il Padre ha impresso in noi”. Con un messaggio di speranza, in questo tempo di guerra e violenza, si sono aperte questa mattina a Bratislava le Giornate sociali cattoliche europee.