Correggere una malattia ereditaria direttamente nel fegato, senza bisturi, senza interventi invasivi, e senza dover modificare cellule in laboratorio. È questo il risultato sorprendente ottenuto nei primi pazienti trattati con una nuova tecnica chiamata “base editing”, sperimentata dall’azienda biotech americana Beam Therapeutics. Una sola infusione potrebbe essere sufficiente per riscrivere la lettera “sbagliata” nel DNA che causa una grave patologia genetica.
Sembra fantascienza, ma è già realtà. E potrebbe segnare l’inizio di una nuova era: non più cure che combattono i sintomi, ma terapie capaci di intervenire sulla causa stessa della malattia.
La patologia in questione è il “deficit di alfa-1 antitripsina”, una malattia genetica ereditaria che colpisce circa una persona su 3.000, danneggiando fegato e polmoni. È causata da una minuscola mutazione nel DNA: una singola lettera sbagliata in una sequenza lunga milioni di basi. Il risultato è che il fegato produce una versione difettosa della proteina alfa‑1 antitripsina, che si accumula nelle cellule e provoca infiammazione e danni nel tempo. Nei polmoni, invece, la mancanza della proteina lascia i tessuti indifesi, aumentando il rischio di gravi malattie respiratorie.
Oggi, i pazienti possono ricevere trattamenti sintomatici, ma nessuna terapia agisce alla radice del problema. Fino ad ora.
Ma cos’è il “base editing”? Per capire la portata della scoperta, bisogna immaginare il DNA come un grande libro della vita, scritto con solo quattro lettere: A, T, C e G (sono le sigle delle quattro basi azotate presenti nel DNA). Quando c’è un errore di battitura – una “lettera” sbagliata – il risultato può essere una malattia genetica. Il “base editing” è una tecnologia rivoluzionaria che corregge quell’errore senza tagliare il DNA, a differenza di altre tecniche più conosciute come CRISPR.
In pratica, funziona come un correttore ortografico di precisione: riconosce il punto sbagliato e cambia una singola lettera, trasformando, ad esempio, una G in una A. Un intervento microscopico, ma capace di cambiare il destino di un organismo.
La vera novità è che questo correttore genetico viene inviato direttamente nel fegato attraverso una normale infusione endovenosa. Nessun intervento chirurgico, nessuna manipolazione esterna delle cellule del paziente. Tutto avviene “dall’interno”, grazie a minuscole nanoparticelle lipidiche che trasportano l’editor genetico fino alle cellule del fegato.
La terapia sperimentale, chiamata “BEAM‑302”, è stata testata in una prima fase su nove pazienti. I risultati sono molto incoraggianti: dopo il trattamento, la produzione della proteina sana è aumentata, mentre quella difettosa è diminuita sensibilmente. E, soprattutto, non si sono verificati effetti collaterali gravi.
Quali, dunque, i prossimi passi? Lo studio è ancora in fase iniziale, ma Beam Therapeutics ha già ottenuto l’autorizzazione per estendere la sperimentazione a nuovi pazienti, anche negli Stati Uniti, e con dosaggi più alti. La terapia ha ricevuto dalla Food and Drug Administration (FDA) due importanti riconoscimenti: la designazione di “farmaco orfano”, riservata alle malattie rare, e quella di “terapia avanzata rigenerativa”, che consente un percorso di approvazione accelerato.
Entro la fine del 2025 saranno disponibili nuovi dati, che potrebbero confermare in modo ancora più solido l’efficacia e la sicurezza della terapia.
Se i risultati saranno confermati, BEAM‑302 potrebbe diventare la prima terapia genetica “una tantum” in grado di correggere un errore nel DNA senza modificare l’intero genoma. Ma soprattutto, questa scoperta apre la porta a decine di altre applicazioni: molte malattie genetiche comuni, anche gravi, sono causate da mutazioni puntiformi simili.