Il viola plumbeo del deserto e della serietà necessaria arriverà a circondarci e forse a opprimerci con i toni del pericolo e dell’abbandono; quando per un istante apparirà il bianco candido dell’amore, dell’amicizia e del pane condiviso, fin troppo presto esso annegherà nel rosso silenzioso e tragico della violenza e di una condanna che inchioda e che sembrerà zittire nel buio la speranza… ma il bianco tornerà a sfolgorare, la speranza rifiorirà, vincerà, alla fine, la luce
Siamo consapevoli che il razzismo è in crescita nelle paure del mondo globale, in questo momento difficile, in cui siamo aggrediti pesantemente da una pandemia che scatena pulsioni istintive di difesa e violenza. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro alla sofferenza che già viviamo in questo tempo!
Buone pratiche.Possiamo fare di questo “isolamento” una solitudine abitata. Non sentirci abbandonati, ma prenderci cura di noi stessi, anche per quegli aspetti che nella vita ordinaria abbiamo magari dovuto trascurare.
Alcune delle domande più urgenti che questa crisi piena di stimoli spirituali e pastorali ha messo nel cuore di tanti di noi poveri preti, che in questi giorni del coronavirus stiamo lottando per essere “frati Cristoforo” e non “don Abbondi”
Sono nato nella prima metà degli anni ‘80. Faccio parte di una generazione che, nell’arco della propria iniziale parabola di vita, ha visto esplodere le possibilità personali. Una “libertà di” crescita incredibilmente agganciata all’idea di un mondo alla portata.
Negli ultimi tre contributi che avrò il piacere di condividere con voi prima di congedarmi, vorrei mettere nero su bianco alcune delle domande che questa crisi solleva, spero non solo in me: in fondo, in questi giorni abbiamo tutti molto più tempo per pensare, no?