Chiesa | MondoÈ il grande miracolo della misericordia ricorda Francesco, che chiede di scegliere come portare la croce: “non al collo, ma nel cuore”
Difficile restare al chiuso di Santa Marta quando in piazza San Pietro si celebra Messa nella Domenica delle Palme. Così Papa Francesco è di nuovo sul sagrato della basilica, niente poncho ma con la veste bianca, qualche saluto alle persone e ai cardinali e poche parole con la voce ancora non completamente in ordine: “Buona domenica delle Palme, buona Settimana santa”.
Un tempo di “debolezza fisica” leggiamo nelle parole che il Papa consegna per l’Angelus; ringrazia per le preghiere che, scrive, “mi aiutano a sentire ancora di più la vicinanza, la compassione e la tenerezza di Dio”. Francesco, nella sua riflessione, ricorda la preghiera che Gesù rivolge al Padre sul monte degli ulivi – il calice da allontanare; l’adesione alla volontà del Padre – e scrive: “indifeso e umiliato, l’abbiamo visto camminare verso la croce con i sentimenti e il cuore di un bambino aggrappato al collo del suo papà, fragile nella carne, ma forte nell’abbandono fiducioso, fino ad addormentarsi, nella morte, tra le sue braccia”. Sentimenti che la liturgia ci chiede di fare nostri, perché “tutti abbiamo dolori, fisici o morali, e la fede ci aiuta a non cedere alla disperazione, non chiuderci nell’amarezza, ma ad affrontarli sentendoci avvolti, come Gesù, dall’abbraccio provvidente e misericordioso del Padre”.
Nelle parole preparate per l’Angelus il vescovo di Roma chiede di affidare al Signore “tutti i sofferenti, specialmente chi è colpito dalla guerra, dalla povertà o dai disastri naturali”. La preghiera è per le vittime del crollo avvenuto nella discoteca di Santo Domingo che ha provocato 225 morti. Ma anche il Sudan nel secondo “triste anniversario dell’inizio del conflitto” con migliaia di morti e milioni di famiglie costrette a lasciare le loro case: “la sofferenza dei bambini, delle donne e delle persone vulnerabili grida al cielo e ci implora di agire”. Si appella alle parti perché pongano fine al conflitto e intraprendano la via del dialogo, e alla comunità internazionale perché “non manchino gli aiuti essenziali alle popolazioni”. Poi il Libano a cinquanta anni dall’inizio della guerra civile: “con l’aiuto di Dio possa vivere in pace e prosperità”. Pace chiede infine per l’Ucraina, la Palestina, Israele, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sud Sudan.
Una domenica caratterizzata, eccezionalmente, dalla lettura di due brani del Vangelo di Luca, ovvero, prima della processione, il racconto dell’ingresso festoso di Gesù a Gerusalemme, e successivamente il racconto della passione alla fine della liturgia della Parola. In questa pagina evangelica troviamo Simone il Cireneo “obbligato” dai soldati a portare la croce di Gesù: “davanti all’atroce ingiustizia del male, portare la croce di Cristo non è mai vano”. Nell’omelia preparata per la celebrazione e letta dal cardinale Leonardo Sandri, Francesco scrive che “la croce di Gesù diventa la croce di Simone”. Non Simone Pietro che aveva promesso di seguire sempre il Maestro; dietro a Gesù “non cammina ora il discepolo, ma questo cireneo”. Tra lui e Gesù, si legge nel testo dell’omelia, “non c’è alcun dialogo, non viene pronunciata una parola. Tra lui e Gesù c’è solo il legno della croce”. Quella croce, la Croce di Cristo, che “porta il peccato di tutti gli uomini. Lo porta per amore nostro, in obbedienza al Padre, soffrendo con noi e per noi”. Ecco “il modo, inatteso e sconvolgente, col quale il Cireneo viene coinvolto nella storia della salvezza, dove nessuno è straniero, nessuno è estraneo”. Con Simone di Cirene il Vangelo ci dice che Gesù “viene incontro a tutti in qualsiasi situazione”. È nei volti dei tanti cirenei “straziati dalla guerra e dalla miseria” vediamo il volto del Signore; portare la sua croce è il modo più concreto “di condividere il suo amore salvifico”.
La Passione di Gesù, leggiamo ancora, diventa “compassione quando tendiamo la mano a chi non ce la fa più, quando solleviamo chi è caduto, quando abbracciamo chi è sconfortato”. È il grande miracolo della misericordia ricorda Francesco, che chiede di scegliere come portare la croce: “non al collo, ma nel cuore. Non solo la nostra, ma anche quella di chi soffre accanto a noi; magari di quella persona sconosciuta che il caso – ma è proprio un caso? – ci ha fatto incontrare”. E ci chiede in questa Pasqua, di diventare “cirenei gli uni per gli altri”.
