Scuola severa, alunni fragili, famiglie invadenti, bullismo degli adulti, errore come stigma o come risorsa… sono solo alcuni spunti che vengono dall’episodio recentemente rilanciato dai media accaduto in provincia di Treviso, dove un bambino di quinta elementare si è visto rimproverare duramente dalla maestra, con uno scritto in rosso al termine di un compito evidentemente non soddisfacente. “Sinceramente sono stufa di correggere innumerevoli correzioni di verifica scritte con i piedi, piene zeppe di errori ortografici gravi e di inesattezze. Se la tua idea è di continuare così, per me puoi stare a casa!”.
Così si legge testualmente sul compito, la cui foto è stata ampiamente divulgata. La vicenda è emersa sulle pagine della “Tribuna di Treviso”, Secondo i genitori dell’alunno, il giudizio negativo è stato solo l’apice di un accanimento nei confronti del figlio passato per la punizione di restare in piedi in un angolo durante la ricreazione e la minaccia di fargli saltare la recita di fine anno. Il ragazzino avrebbe anche avuto manifestazioni psicosomatiche e sempre i genitori hanno puntato il dito su “un comportamento della docente che esula a nostro modo di vedere da qualsivoglia finalità educativa e si trasforma in una vera e propria fonte di ansia e inquietudine”. L’obiettivo – sostengono – è far riflettere sul ruolo della scuola e sul “metodo pedagogico” che non può confondersi con “un’azione disciplinare fine a se stessa”.
In effetti è difficile concordare con l’azione dell’insegnante, soprattutto ignorando il contesto. Così come è assolutamente vero – come diversi esperti pedagogisti hanno rilevato – che l’errore altro non è che un momento formativo, uno step che porta a crescere e dunque una scuola che facilita un clima di accettazione e comprensione dell’errore, piuttosto che di rifiuto, funziona meglio.
Al di là del caso di cronaca – che si conosce troppo superficialmente – si può però rilanciare qualche riflessione di carattere generale. Su Orizzontescuola, ad esempio, ecco rimbalzare una domanda: “stiamo davvero facendo il bene dei nostri figli trasformandoli in vittime innocenti di un sistema sempre colpevole?”. La rivista parla poi di “pedagogia iperprotettiva” e soprattutto del ruolo mutato dei docenti e della loro perdita di autorevolezza, che si riflette anche nei risultati scolastici. Infine accenna al “rapporto tra famiglie e scuola” che si sarebbe progressivamente trasformato, “passando da una collaborazione costruttiva a una contrapposizione quasi sistematica”.
Paolo Crepet da tempo punta il dito proprio sul rapporto genitori-scuola, invitando i primi a “stare la loro posto”, cioè a rispettare i diversi ruoli che si intrecciano nella dinamica educativa scolastica e soprattutto a non risultare come “i sindacalisti” dei propri figli. Daniele Novara, per contro, invita ad “aiutare” fattivamente i genitori, senza colpevolizzarli, a conoscere le esigenze dei bambini e questo può farlo ancora la scuola.
Evidentemente il tema è complesso, c’è però un comune denominatore tra pensieri anche diversi: l’attenzione all’educazione è fondamentale, con differenti ruoli. Aiutare a crescere, accompagnare quando si sbaglia. Farlo nel modo giusto e cercando corresponsabilità.
“Chissà se un giorno – chiosa ancora Orizzontescuola – tra una correzione e una carezza, torneremo a insegnare ai nostri figli che il coraggio di sbagliare – e di accettare chi ci corregge – vale più di mille like indignati. Perché, in fondo, la scuola non è il luogo dove si impara a non cadere, ma quello dove si impara a rialzarsi”.