Chiesa | Mondo
Credere non è praticare l’ipocrisia. No a un rapporto con Dio fatto di gesti esteriori
Il Vangelo di Marco ci fa riflettere su una religione fatta di pratiche esteriori
Chiesa | MondoIl Vangelo di Marco ci fa riflettere su una religione fatta di pratiche esteriori
In questa domenica vigilia del 45mo viaggio fuori dell’Italia, che lo porterà in alcuni paesi dell’Asia e dell’Oceania, Papa Francesco si sofferma, all’Angelus, sui conflitti, sulle ferite di questo nostro mondo. Così ripropone, in un certo senso, quell’appello che sessanta anni fa lanciava il sindaco Giorgio La Pira con i suoi Convegni mediterranei: “sia pace in Terra Santa, sia pace a Gerusalemme – dice all’Angelus il vescovo di Roma – la Città Santa sia luogo d’incontro dove i cristiani, gli ebrei e i musulmani si sentano rispettati e accolti”. Con preoccupazione il Papa guarda al conflitto in Palestina e Israele che rischia di allargarsi; di qui l’appello “affinché non si fermino i negoziati e si cessi subito il fuoco, si rilascino gli ostaggi, si soccorra la popolazione a Gaza”.
Poi l’altra guerra che da due anni e mezzo insanguina l’Europa. Si dice “sempre vicino al martoriato popolo ucraino, duramente colpito da attacchi contro le infrastrutture energetiche”. Questi attacchi non solo hanno causato morti e feriti, ma hanno lasciato “più di un milione di persone senza elettricità e acqua”. La voce degli innocenti, afferma Francesco, “trova sempre ascolto presso Dio, che non rimane indifferente alla loro sofferenza”.
Infine, il Burkina Faso dove oltre duecento persone, tra cui donne, bambini e anziani, sono rimaste uccise nel più sanguinoso attacco terroristico condotto da un centinaio di jihadisti nella cittadina di Barsalogho. Il Papa condanna “questi esecrabili attentati contro la vita umana” e esprime vicinanza alla Nazione intera e “cordoglio alle famiglie delle vittime”.
Il Vangelo di Marco – lo avevamo lasciato cinque domeniche fa per riflettere sulle pagine di Giovanni – ci fa riflettere su una religione fatta di pratiche esteriori, e ci mette di fronte all’ipocrisia di scribi e farisei più attenti alle regole che alla parola. Dice il Papa; “era quasi un’ossessione di alcuni religiosi di quei tempi, la purità e l’impurità”.
Racconta l’evangelista che scribi e farisei si lamentano per il fatto che alcuni discepoli hanno toccato il cibo senza lavarsi le mani “come vuole la tradizione degli antichi”, uno degli oltre 600 precetti voluti dall’uomo. Gesù risponde con le parole del profeta Isaia: “questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Gesù ha percorso le strade di Galilea, ha incontrato una umanità sofferente, ha visto poveri, guarito malati; il suo mantello è stato sfiorato da persone ferite, disperate. E di fronte a tutto questo, l’unica preoccupazione che gli viene rivolta è quella del lavarsi le mani prima di mangiare. Lo stesso gesto che compirà in seguito Pilato.
Come leggiamo in Marco, Gesù si sofferma a spiegare il significato della purezza. Questa “dice, non è legata a riti esterni, ma prima di tutto a disposizioni interiori. Per essere puri, perciò, non serve lavarsi più volte le mani, se poi si nutrono dentro il cuore sentimenti malvagi come avidità, invidia o superbia, oppure propositi cattivi come inganni, furti, tradimenti e calunnie”. In questo modo il Signore mette in guardia “dal ritualismo, che non fa crescere nel bene, anzi, a volte può portare a trascurare, o addirittura a giustificare, in sé e negli altri, scelte e atteggiamenti contrari alla carità, che feriscono l’anima e chiudono il cuore”. E non mancano esempi nelle parole di Papa Francesco: “non si può, ad esempio, uscire dalla Santa Messa e, già sul sagrato della chiesa, fermarsi a fare pettegolezzi cattivi e privi di misericordia su tutto e tutti. Quel chiacchiericcio che rovina il cuore, che rovina l’anima. Non si può”. Oppure “mostrarsi pii nella preghiera, ma poi a casa trattare con freddezza e distacco i propri familiari, o trascurare i genitori anziani, che hanno bisogno di aiuto e compagnia. Questa è una doppia vita”. Non si può, ancora, essere molto corretti apparentemente, fare del volontariato e poi “coltivare odio verso gli altri, disprezzare i poveri e gli ultimi o comportarsi in modo disonesto nel proprio lavoro”. No, dunque, a un rapporto con Dio fatto di gesti esteriori, perché così “si rimane impermeabili all’azione purificatrice della sua grazia”.