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Di fronte alle atrocità che l’esercito israeliano sta commettendo nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, lunedì 21 luglio il Consiglio comunale di Padova ha approvato una mozione che getta le basi verso l’interruzione dei rapporti con aziende e istituzioni coinvolte nelle violazioni di diritti fondamentali in Palestina. «Questa mozione si sostanzia nel riflesso sugli enti locali, quindi anche sulle amministrazioni comunali, degli obblighi che lo Stato italiano ha di fronte ai crimini di Israele. Tenendo presente questi obblighi, ci sono delle azioni che possiamo scegliere di compiere» ha dichiarato Chiara Gallani, consigliera di Coalizione Civica per Padova che, insieme alla collega Marta Nalin, ha proposto la mozione.
Stop agli accordi commerciali
Il testo prevede, tra le altre cose, la sospensione degli accordi commerciali con aziende e istituzioni collegate alle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati e lo svolgimento di controlli sulle attività commerciali, promozionali o di rilievo per lo Stato ebraico realizzate sul territorio comunale. Il Consiglio comunale si impegna a fare una ricognizione di tutte le attività che, nel territorio padovano, possano essere collegate al «trasferimento di armi o componenti, di tecnologie belliche e di servizi militari verso Israele o in connessione con esso». Infine, con questo voto il Comune di Padova esprime solidarietà al popolo palestinese sostenendo persone e associazioni che difendono i diritti umani nei territori occupati, promuovendo tavole rotonde ed eventi a favore del cessate il fuoco e supportando la cooperazione con enti territoriali, istituti culturali e organizzazioni della società civile palestinese.
Quasi 60 mila morti da ottobre 2023
Dall’ottobre 2023 nella Striscia di Gaza sono state uccisi 59.674 uomini, donne e bambini. Tra questi, 122 persone, di cui 21 minori di cinque anni secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono morti per malnutrizione, visto il blocco degli aiuti umanitari imposto dall’esercito israeliano. Di fronte a ciò, il Commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini, ha lanciato un monito: «Quando la malnutrizione infantile aumenta, i meccanismi di coping (modalità con cui gli individui affrontano situazioni stressanti o conflittuali, ndr) falliscono, l’accesso al cibo e alle cure scompare, e la carestia inizia silenziosamente a prendere forma». Nel frattempo, i bombardamenti e le uccisioni arbitrarie continuano: secondo Al Jazeera, solo nella giornata del 25 luglio nella Striscia sono state uccise dall’esercito israeliano 38 persone, 6 delle quali sono morte mentre erano in coda per ricevere aiuti alimentari.
In Cisgiordania la situazione è invece resa catastrofica dalla furia degli abitanti delle colonie, la cui esistenza in territorio palestinese è illegale secondo il diritto internazionale, e dalle politiche espansioniste e annessioniste del governo di Benjamin Netanyahu. In questo contesto, dall’ottobre 2023 in Cisgiordania i coloni e i soldati dello Stato ebraico hanno ucciso almeno 964 palestinesi e il numero di attacchi da parte dei coloni armati è in continua crescita: sempre secondo Al Jazeera, quest’anno è infatti aumentato del 13 per cento rispetto al 2024. Inoltre, il sistematico sfollamento della popolazione palestinese viene perseguito dalle autorità israeliane attraverso le demolizioni di case palestinesi: almeno 2.907 sono state distrutte dall’ottobre 2023.

Il Sigillo della città a Francesca Albanese e le sanzioni Usa
Non da ultimo, approvando la mozione, il Consiglio comunale di Padova ha conferito il Sigillo della città alla relatrice speciale dell’Onu sui Territori palestinesi occupati Francesca Albanese, una figura in prima linea nella denuncia su scala internazionale della tragedia in corso in Palestina e per questo sanzionata dagli Stati Uniti, per decisione del segretario di Stato americano Marco Rubio. L’annuncio da parte statunitense è arrivato il 9 luglio, dieci giorni dopo la pubblicazione del report di Albanese Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, avvenuta il 30 giugno.
La relatrice speciale sui territori palestinesi occupati è una figura specializzata e indipendente che lavora pro-bono per le Nazioni Unite, il suo mandato consiste nell’indagare sulle violazioni israeliane del diritto internazionale e del diritto umanitario internazionale nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e di informare sul tema il Consiglio dei diritti umani e l’Assemblea generale dell’Onu. Nel suo ultimo report per il Consiglio dei diritti umani, Francesca Albanese ha affrontato un tema spinoso: quello degli interessi economici legati all’occupazione dei territori palestinesi e il ruolo che, a oggi, le grandi aziende che fanno affari con Israele stanno svolgendo nei crimini che lo Stato ebraico sta perpetrando. Albanese sostiene da tempo che Israele stia commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza, in linea con l’accusa con cui il Sudafrica ha portato lo Stato ebraico a processo presso la Corte internazionale di giustizia nel dicembre 2023. Da qui, la tesi centrale dell’analisi della relatrice speciale: «Dopo l’ottobre 2023, i sistemi di controllo e sfruttamento si sono trasformati in infrastrutture per infliggere violenza di massa e immensa distruzione. Le entità che prima traevano profitto dall’economia dell’occupazione, invece di disimpegnarsi sono ora coinvolte in un’economia del genocidio» recita il report.
Cosa emerge nel rapporto tanto contestato? Il coinvolgimento dell’italiana Leonardo
Analizzando, attraverso il database dell’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu e fonti della società civile, settori economici chiave come l’industria delle armi, quello delle nuove tecnologie e dell’edilizia, Albanese evidenzia come i prodotti venduti a Israele siano a oggi utilizzati anche nella Striscia di Gaza. Per quanto riguarda il settore degli armamenti, spiccano gli accordi commerciali con la statunitense Lockheed Martin e l’italiana Leonardo spa. Queste due aziende, che tuttora hanno accordi con Israele, hanno contribuito alla formazione della flotta israeliana di aerei caccia F-35, essenziale per portare avanti le offensive con cui, dall’ottobre 2023, sono state sganciate circa 85 mila tonnellate di ordigni sulla Striscia, uccidendo e ferendo oltre 179 mila palestinesi.
Per quanto riguarda il settore delle nuove tecnologie, Albanese segnala che Microsoft, Google, Amazon e Palantir Technologies sono tra le multinazionali che forniscono servizi di stoccaggio di dati e nuove tecnologie nel campo dell’intelligenza artificiale utilizzate anche sul campo di battaglia. Per esempio, nuovi sistemi di intelligenza artificiale sono stati impiegati a Gaza per identificare e localizzare target da uccidere. I target, ufficialmente, sono le persone identificate come membri di Hamas; a far discutere è però l’impiego di questi algoritmi, che spesso permette di attaccare anche causando la morte di numerosi civili. Un esempio è il programma di intelligenza artificiale “Where is Daddy?” menzionato da Albanese, che permette di riconoscere quando il target rientra nella sua abitazione e, come suggerisce il nome (“dov’è papà?”), ucciderlo anche in presenza della famiglia, colpendo un edificio residenziale. In questo contesto, il crescente utilizzo di tecnologie avanzate a scopo bellico in Israele si riflette nella crescita, in questo ambito, del 143 per cento di start-up solo nel 2024.

Non solo Microsoft, Google o Amazon, ma anche Caterpillar, Volvo e Hyundai
Eppure, il report denuncia che non sono solo i produttori di armi e le big-tech a fornire strumenti chiave a Israele. A essere coinvolte sono anche, per esempio, imprese che vendono macchinari in ambito edilizio, come la statunitense Caterpillar Inc, la svedese Volvo e la sudcoreana Hyundai. Il report, infatti, segnala prove del fatto che attrezzature per demolizioni vendute da Caterpillar inc, tra cui bulldozer modificati con l’assistenza di Leonardo spa e altre aziende, siano state utilizzate per attaccare ospedali ed effettuare demolizioni di massa nella Striscia. Similmente, anche macchinari Volvo e Hyundai sono stati impegnati nella campagna di distruzione urbana portata avanti dall’esercito israeliano a Jabalia e Rafah, rispettivamente nel nord e nel sud della Striscia di Gaza.
Oltre a mettere in luce l’impiego diretto nella Striscia di Gaza di vari prodotti importati in Israele, il rapporto riassume una grande quantità di informazioni anche sulle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. A concludere il testo ci sono le raccomandazioni della relatrice speciale che rimarcano, dal punto di vista del diritto internazionale, il dovere delle imprese di recidere i rapporti con Israele alla luce delle violazioni di diritti umani in corso. La denuncia e l’esposizione mediatica di specifiche aziende, la maggior parte delle quali sono statunitensi, e il tentativo effettuato da Albanese di entrare in contatto con esse avvertendole dei rischi legali in cui incorrevano, secondo il segretario di Stato Usa Marco Rubio sarebbero atti che rientrano in una «guerra politica ed economica che minaccia l’interesse nazionale e la sovranità statunitense».
Gli Stati Uniti non riconoscono la giurisdizione della Corte penale internazionale
C’è però un’altra ragione, preponderante secondo l’argomentazione di Rubio: le sanzioni a Francesca Albanese sono state imposte in quanto, inserendo tra le sue raccomandazioni un invito alla Corte penale internazionale (Cpi) a indagare e perseguire entità e persone che potrebbero macchiarsi di crimini facendo affari con Israele, la relatrice speciale è stata identificata come una figura che collabora con essa. La Corte penale internazionale, un tribunale indipendente che non fa parte dell’Onu ma con cui collabora strettamente, è essa stessa sottoposta a sanzioni stabilite dal presidente statunitense Donald Trump a febbraio 2025, dopo l’emissione di mandati d’arresto internazionale contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant. Gli Stati Uniti, in quanto non firmatari del suo statuto fondativo, non riconoscono la giurisdizione della Cri e considerano come una violazione della propria sovranità e di quella dello Stato ebraico le indagini che essa sta svolgendo sui crimini di guerra statunitensi in Afghanistan e su quelli israeliani in Palestina. Di fronte a tutto ciò, Francesca Albanese ha risposto definendo i metodi statunitensi come «intimidatori e mafiosi», invitando l’opinione pubblica internazionale a continuare a tenere gli occhi puntati su Gaza e sostenendo il boicottaggio come strumento essenziale per porre fine al genocidio.
