All’attivo conta centinaia di pubblicazioni e numerosi volumi, scientifici e divulgativi. Ha diretto scavi archeologici di rilievo, insegnato per quarant’anni all’Università di Padova, formato generazioni di studiosi ai quali è tuttora profondamente legata. Oggi è professore emerito, ma la passione che l’ha sempre guidata è intatta come il primo giorno. Eppure, se avesse seguito il destino della famiglia, avrebbe fatto l’avvocato, secondo una tradizione che si tramanda da secoli. A tracciare la sua strada furono il senso di libertà e il padre: «Era figlio unico e non poteva fare altro che seguire la professione di famiglia, che peraltro onorò, divenendo un rinomato penalista, per i suoi figli volle la massima libertà». Per Elena Francesca Ghedini la famiglia è una radice profonda: le sorelle Nicoletta e Ippolita, il fratello Niccolò – cresciuto quasi come un figlio e mancato prematuramente nel 2022 – il culto delle domeniche insieme a cognati e nipoti, tra Padova e Santa Maria di Sala. E poi l’equitazione, altro grande amore, trasmesso dal padre a tutti i suoi figli: «Con mia sorella Nicoletta ho partecipato a lezioni impartite dal campione olimpico Piero D’Inzeo e con un cavallo acquistato da lui, che si chiamava Gengis Khan, ho vinto un campionato europeo juniores di salto a ostacoli». Ghedini ci accoglie nella sua casa padovana, tra pareti colme di libri, gli occhi azzurri sempre vigili e spesso attraversati da lampi di ironia. Sulla soglia degli 80 anni, che compirà in novembre, continua a studiare e soprattutto a scrivere, recandosi ogni mattina nella biblioteca di Palazzo Liviano come una qualsiasi cittadina: «Da quando sono andata in pensione sono volontariamente “uscita dal giro”, ma resto in contatto con tutti i miei bravissimi allievi, che sono il mio orgoglio e il mio contributo più grande alla ricerca. Con loro l’archeologia a Padova è cresciuta e ha un ruolo importante nel panorama nazionale e internazionale». Anche se proviene da una famiglia dell’alta borghesia, il suo percorso accademico non è stato quello di una privilegiata. Formatasi nella grande scuola padovana di archeologia, allora guidata da Luigi Polacco, dopo la laurea lavora per dieci anni come bibliotecaria prima di vincere l’abilitazione a professore associato. Eppure – nonostante abbia diretto scavi importanti come quelli di Aquileia, di Nora in Sardegna e di Gortina a Creta – non si è mai considerata davvero un’archeologa: «Saper scavare è fondamentale, ma non era nelle mie corde; il mio grande merito è stato di saper scegliere i collaboratori adatti – tutti più bravi di me… cosa rara nel nostro ambiente! Nella mia vita di studiosa ho preferito coltivare altri aspetti: il mio vero scavo è stato soprattutto nei testi, nelle immagini, nei contesti». Tra i massimi esperti di iconografia, ancora oggi Ghedini intreccia con originalità e rigore le fonti letterarie con la storia dell’arte: «Non puoi isolare un’immagine. Un antico attribuiva un significato a una figura, fosse su un vaso o un affresco, perché ne conosceva la storia, l’aveva ascoltata da bambino o vista a teatro. Codici che oggi abbiamo perso e che io cerco di contribuire a recuperare, facendoli parlare di nuovo». Oltre alla ricerca e all’insegnamento, Ghedini si è dedicata anche alla politica culturale, partecipando a diverse commissioni tecniche ministeriali e contribuendo alla nascita di leggi fondamentali come quelle sull’archeologia preventiva e sui parchi archeologici: «Due battaglie a cui tengo molto. L’archeologia preventiva ha cambiato la vita a generazioni di archeologi; prima di costruire una strada, una ferrovia, un acquedotto, ma anche un edificio, oggi si scava, si documenta, si conserva, evitando il conflitto tra istituzioni e salvaguardando il patrimonio. Con i parchi archeologici abbiamo invece chiarito che il passato non è solo memoria, ma anche una risorsa su cui investire». «Attualmente mi sto occupando dell’iconografia della violenza: come il mito metteva in scena lo stupro, e come ne attenuava la brutalità. Un tema difficile ma urgente; le storie e le immagini non si limitano a parlarci: ci educano. Anche e soprattutto quando non ce ne accorgiamo».
Francesca Ghedini, archeologa e storica dell’arte, è tra le massime esperte italiane di iconografia antica. Ha diretto mostre prestigiose, insegnato per quarant’anni e formato generazioni di studiosi.
Negli ultimi anni Francesca Ghedini ha concentrato i suoi studi sulla figura femminile nel mondo greco e romano, esplorando il modo in cui le donne sono state raccontate, rappresentate, interpretate. Un percorso che intreccia archeologia, storia, iconografia e letteratura, e che prende le mosse da Giulia Domna. Una siriaca sul trono dei Cesari (Carocci, 2020), dedicato alla moglie di Settimio Severo, potente figura di passaggio tra due mondi, orientale e romano, pubblica e familiare. A questo lavoro è seguito Maledette. Le donne del mito (Marsilio, 2023), in cui personaggi come Circe, Pasifae, Arianna, Fedra e Medea vengono riletti mettendo in luce i loro legami, le genealogie sommerse, il peso del silenzio e della trasgressione nel loro racconto. Attraverso i suoi ultimi volumi Ghedini dà voce a figure che la tradizione ha spesso ridotto a icone marginali, restituendo loro spessore, complessità e dignità narrativa. Nel 2024 è uscito Elena e le altre (Carocci), studio rigoroso e appassionato sulla madre di Costantino e sul suo ruolo nel passaggio verso l’impero cristiano, anche attraverso il celebre pellegrinaggio in Terra Santa e il presunto ritrovamento della reliquia della Santa Croce. Nel 2025 è invece arrivato Ifigenia (Marsilio), dedicato a una figura liminale e potentissima, sospesa tra obbedienza e sacrificio: «una donna immolata dal padre per il proprio successo, simbolo della condizione di tante, ieri come oggi».