Ha debuttato alle Regionali del Trentino-Alto Adige, il 22 ottobre 2023, raccogliendo 5.455 voti (il 2,26%), mettendosi alle spalle Forza Italia (2,03%) il Movimento 5 Stelle (1,95%), Italia Viva (1,46%) e Azione (1,42%). Due anni Democrazia Sovrana Popolare (Dsp) ci riprova in Veneto e candida a presidente Marco Rizzo, 66 anni, residente a Rovereto, ci riprova in Veneto. L’esenzione dalla raccolta delle firme l’ha garantita Comuni del Veneto per l’autonomia, componente politica del gruppo Misto che fa capo a Fabrizio Boron, il quale peraltro si candida a Padova con Forza Italia.
Rizzo, questo per lei, sotto il profilo genealogico, è una sorta di ritorno alle origini.
«Sì, un mio quadrisavolo, Pietro Rizzo, era calabrese. Dopo il 1860 è venuto su in Veneto, dove ha fatto tre-quattro figli. Poi si è trasferito a Torino e ha avuto altri tre-quattro figli. Infatti ho ancora dei parenti in Veneto, ma io sono nato sotto la Mole».
Perché la scelta di scendere in campo in Veneto, contrapponendosi a centrodestra e centrosinistra?
«Innanzitutto noi ci rivolgiamo a quelli che nelle ultime tornate non sono andati a votare perché sono stanchi di vedere che i politici dicono una cosa e ne fanno un’altra. Infatti lo slogan della mia campagna elettorale è “faremo quello che diciamo».
Si sa però che le promesse elettorali sono destinate a evaporare.
«La Costituzione italiana prevede l’elezione senza vincolo di mandato. Noi ai nostri candidati diamo da firmare un vincolo di programma. Chi non mantiene l’impegno viene espulso».
Sulla questione dell’autonomia come vi ponete?
«Sull’autonomia c’è un problema di fondo: noi viviamo in un Paese che non ha la sovranità. Cioè, mi spiego con una metafora: se tu devi salire in un appartamento e non hai le chiavi del portone, come fai a entrare nell’appartamento? Quindi noi diciamo: senza sovranità dell’Italia, non ci può essere l’autonomia. Per carità, l’articolo 1 della Costituzione recita che la sovranità appartiene al popolo, ma la nostra Carta è stata vilipesa mille volte, a partire dall’articolo 11 sul ripudio della guerra».
Facciamo un passo indietro. Durante la pandemia, quando guidava il Partito Comunista, lei era contrarissimo al green pass, che i lavoratori dovevano esibire per entrare in azienda.
«Il PC si è spaccato sul green pass. E anch’io ero contrarissimo. Così poi nel 2022 abbiamo deciso di formare Italia Sovrana Popolare, che si è poi evoluta in Democrazia Sovrana Popolare. Questo è un progetto nazionale, ma anche internazionale. Io conosco personalmente tanti leader europei, a cominciare dal premier slovacco Robert Fico. Ho in rubrica il numero di telefono del leader ungherese Viktor Orban».
La scelta di correre in Veneto ha anche un significato simbolico?
«Qui, in questo territorio, è nata la prima democrazia. Per questo un progetto come Democrazia Sovrana e Popolare può partire proprio dal Veneto. Il ceto medio – agricoltori, commercianti, artigiani, piccoli imprenditori – si depauperizza; noi vogliamo che si unisca con la classe lavoratrice. Se facciamo un blocco di popolo contro le multinazionali, contro la grande finanza, possiamo vincere. Noi siamo nettamente contro l’Unione Europea: ci chiamiamo apposta Democrazia Sovrana e Popolare».
Perché a suo avviso il Veneto dovrebbe cambiare strada dopo tanti anni di centrodestra?
«I referendum in Italia vengono sempre disattesi. La Lega ha disatteso quello dell’autonomia del 2017. I leghisti governano il Veneto da sempre, stanno governando da tre anni il Paese, ma avevano governato anche prima con Conte e con Draghi: quindi se non sono arrivati all’autonomia stando al governo a Venezia e a Roma, quando mai ci arriveranno? Non è possibile prendere in giro così gli elettori. Ma la sinistra non è da meno: ha disatteso il voto sull’acqua pubblica. Tutti i sindaci di centrosinistra se ne sono fottuti del referendum sull’acqua. Sicché oggi possiamo tranquillamente dire che “destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia».
E la sanità? Certo quella veneta è un’eccellenza, ma non mancano le liste d’attesa.
«Mi par di capire che fra un po’ gli utenti, se il governo continua a spendere soldi in armi, si troveranno un carrarmato davanti in lista d’attesa. Noi, nel programma, abbiamo scritto che la quota di tassazione che va a Roma per le armi dev’essere defalcata e tenuta in Veneto”.
Ma Dsp pensa di pescare più voti tra gli elettori di Alberto Stefani o tra quelli di Giovanni Manildo?
«Noi non abbiamo soldi per pagare i sondaggi. Ma un’amica molto brava, che li fa, mi ha detto che io porto via metà voti dall’area del non voto e, ormai, l’altra metà alla pari tra destra e sinistra. Una volta pescavo voti più a sinistra, adesso siamo alla pari».
Lei è candidato presidente ma anche candidato consigliere in tutte le circoscrizioni provinciali. Se dovesse scattare il quorum, ci andrà davvero a Palazzo Ferro Fini?
«Certo, da Rovereto a Venezia non è nemmeno tantissima strada e m’impegno ad andarci. Il nostro comunque è un progetto nazionale. Per questa corsa non faccio santini e manifesti personali. Credo che per la propaganda non supereremo di sicuro i cinquemila euro».