Sono tanti i fenomeni atmosferici che annualmente ci mettono in allarme causando estesi allagamenti del territorio padovano certamente causati da eventi estremi a cui non eravamo abituati, conseguenti al riscaldamento del clima; ma la ragione dei più gravi disastri che ci hanno interessati negli ultimi decenni sono senza dubbio dovuti al dissesto idrogeologico del territorio. Possiamo andare con il ricordo al 31 ottobre del 2010 quando ben 130 Comuni della nostra Regione si sono allagati con 4.500 padovani sfollati per l’esondazione del Bacchiglione a Ponte san Nicolò, Casalserugo, Bovolenta, Maserà e Veggiano. Ma anche al 20 e 21 agosto di quest’anno a Montegalda, a Villafranca Padovana, Mestrino, Rubano, Limena, Curtarolo, Piazzola oltre che a Due Carrare e Maserà, con oltre 60 interventi di prosciugamento di caseggiati.
Le preoccupanti conseguenze che l’impatto dei sempre più frequenti eventi straordinari stanno avendo sul territorio padovano sono principalmente riconducibili alla dilagante e incontrollata cementificazione che da molti decenni caratterizza la nostra Regione chiamando in causa lo stesso modello di sviluppo. Modello che fin dagli anni Sessanta del secolo scorso ha finito per trasformare il policentrismo, bandiera delle classi dirigenti, in una confusa accozzaglia di edilizia industriale, commerciale e abitativa che ha trasformato il territorio agricolo in un continuum edificato che si percepisce in maniera più evidente percorrendo l’asse centrale della Regione da est (Mestre) ad ovest (Verona), con le relative conseguenze sul piano della viabilità.
Infatti fin dagli anni Settanta il volume totale dei fabbricati produttivi aveva raggiunto quello delle abitazioni; e nell’ultimo decennio del secolo scorso il volume complessivo edificato per attività economiche raggiungeva quasi il doppio di quello residenziale. In vent’anni sono stati sottratti all’agricoltura più terreni che nei due millenni precedenti.
Paradossalmente, nonostante il pesante calo demografico che coinvolge la nostra Regione, si continua a manifestare una propensione inarrestabile al consumo del suolo. Il fabbisogno abitativo potrebbe di gran lunga essere soddisfatto dalle ampie disponibilità di alloggi esistenti e dalle ristrutturazioni di immobili fatiscenti, invece si continua a cementificare con parametri preoccupanti. Sono ancora una volta le proiezioni demografiche che rendono lapalissiane le contraddizioni delle politiche fin qui portate avanti. Quale bisogno di capannoni potremmo mai avere se entro il 2035 il numero di persone in attività lavorativa calerà in Veneto di quasi 240 mila unità rispetto al 2025 con una flessione del 7,8 per cento? E quale fabbisogno abitativo se nel 2040 i residenti saranno 380 mila unità in meno, come se sparissero due città come Padova e Treviso insieme?
Immersi in questo scenario di glaciazione demografica delle unità lavorative ci troviamo nella nostra regione con più di 12 mila capannoni industriali dismessi, per un valore di oltre 4 miliardi di euro, e ancor oggi prevale la spinta a edificare nuove strutture, soprattutto commerciali e logistiche, lasciando aperte grandi brecce all’infiltrazione criminale con usi illeciti delle aree dismesse. Le radici di questa devastazione del territorio vengono da lontano, da quegli anni Settanta del secolo scorso che videro scomporsi le grandi aziende con il decentramento produttivo e con l’illusione che le piccole realtà imprenditoriali sarebbero state la medicina all’arretratezza dell’economia del Veneto. Ma piccolo è bello e durato per qualche decennio, salvo lasciare le macerie di un modello che oggi rappresenta una vera e propria palla al piede verso la crescita perché incapace di far fronte a una duplice sfida: quella tecnologica che richiede costanti innovazioni e quella della globalizzazione dei mercati.
Non mancarono le responsabilità della politica regionale che non solo ha lasciato fare alle spinte localistiche e alle logiche spontanee di una Regione che si riscopriva avere una esagerata proliferazione imprenditoriale, ma spesso ha incoraggiato, sostenuto e incentivato un modello di corto respiro in nome del consenso. Oggi in Regione si contano circa 95 mila capannoni uno ogni 53 abitanti con ben 5.700 aree produttive, facendo la media dieci per ciascun comune, con 41 mila ettari di terreno consumato. Eppure dal 2017 c’è una legge della Regione del Veneto che limita le concessioni edilizie e pone entro il 2050 l’obiettivo di azzerare il consumo di suolo. Tuttavia mai come in questi ultimi anni, totalmente disattendendo la norma, vi è stato un crescente aumento del territorio edificato.