Immobili nella “visione”. Sono gli eletti (senza bisogno di voti…) che governano il ciclo del cemento. La vera impresa, “resiliente” a ogni vergogna. Cavatori, padroncini, studi professionali, imprese edili, agenzie immobiliari, notai, finanziarie, consulenti. È il Veneto delle betoniere sempre in movimento. Ma anche della coazione a replicare le speculazioni a senso unico.
Veneto City ha plastificato l’ideologia del consumo di suolo per il profitto di rapina. Giusto dieci anni fa, lo sviluppo di Dolo, Pianiga e Mirano combaciava con 1,8 milioni di metri cubi: più di 50 campi da calcio spianati dal cemento. Il 7 aprile scorso Luigi Brugnaro, sindaco della Città metropolitana di Venezia, ha cassato per decreto l’accordo di programma. Se fosse stato realizzato, oggi avremmo la “megalopoli del commercio” con 715 mila metri quadrati di uffici, negozi, bar, ristoranti e alberghi spalmati in quel che sarebbe restato della Riviera del Brenta. Era un’operazione da due miliardi di euro, forse la più grande “operazione” d’Italia. Un gioco dopato. Cambia la destinazione d’uso da agricola a edificabile. Zero rischio di impresa. Le banche finanziano anche società con 10-30 mila euro di capitale. I Comuni incassano milioni in oneri di urbanizzazione. Kingsmaker di Veneto City erano Luigi Endrizzi e Rinaldo Panzarini. Il primo, ingegnere con studio a Vigonza, aveva già creato l’Ikea a Padova Est: muore d’infarto nel 2017 durante una battuta di caccia in Crimea. L’altro è stato direttore della Popolare di Lecco, vicedirettore centrale Deutsche Bank e direttore di Cariveneto, prima di approdare da amministratore delegato in Est Capital, società di gestione dei risparmio destinata a fallire. Con loro pianificano Veneto City – fin dal 2001 – gli altri soci Bepi Stefanel, Fabio Biasuzzi e Olindo Andrighetti. I primi 400 mila metri quadrati di terreno, Endrizzi li aveva acquistati nel 1998. Per il Comune di Dolo, capannoni da tre piani. La Provincia presieduta da Davide Zoggia non batte ciglio. La Regione con Silvano Vernizzi non impone la valutazione ambientale strategica. Via libera con Dolo e Pianiga: un gioco da ragazzi. «Un progetto decisivo per il Veneto» sintetizza Endrizzi. «Innovativo a livello nazionale, perché risolve il rischio idraulico di tutta la zona, riqualifica l’area e sistema la viabilità» aggiunge Panzarini. L’architetto Mario Cucinella che firma (con Studio Land) il progetto assicura: «In questa zona strategica per le infrastrutture, si parte dal concept di paesaggio come matrice». Per i Comuni l’affare si traduce in 1,8 milioni di euro (Dolo) e 1,2 milioni (Pianiga) sotto forma di opere di compensazione da definire. Si aggiungono ai 50 milioni di euro “pronto cassa” incamerati dai permessi di costruzione e alla promessa di 7 mila posti di lavoro. Per fortuna, è rimasto solo un gioco…
Ma come sarebbe, oggi, il Veneto davvero… metropolitano? Con la sigla Smfr è rimasta sulla carta la possibilità di far viaggiare quotidianamente su ferro non solo i pendolari. Invece, dal 1988 al 2018 il progetto di “sistema ferroviario metropolitano veneto” ha ceduto il passo (e le risorse) ad autostrade, tangenziali, “bretelle” e quindi al traffico che inquina. Nell’altro secolo, s’immaginavano spostamenti rapidi grazie ai reni ad alta frequentazione nel quadrilatero Treviso, Venezia, Padova, Castelfranco. Prima di abdicare definitivamente alla “cura del ferro”, il Veneto perdeva quasi 20 mila viaggiatori al giorno in un anno: 153 mila su 2,6 milioni di pendolari nel 2017 (secondo “Pendolaria” di Legambiente). E il bilancio della Regione era inchiodato allo 0,22 per cento per il trasporto ferroviario. Si torna così alla pianificazione urbanistica. La “contrattazione” (sposata senza scrupoli anche nel centrosinistra) con l’iniziativa privata ha prodotto mostruosità come Borgo Berga a Vicenza ma anche il complesso polifunzionale nell’area ex-Appiani a Treviso.
Il gigantismo di cemento avrebbe potuto dilagare perfino a scapito di territori da salvaguardare. Una legge regionale del 1999 prefigura un autodromo: Motor City tra Vigasio e Trevenzuolo (Verona) in un’area destinata a parco. E con il pretesto della “bonifica ambientale” si concepisce Euroworld, una sorta di Disneyland in Polesine. Mega-progetti abortiti anche nel Padovano. Dallo “Zippone” alto 18 piani, la torre di 60 metri fra via Messico e via Portogallo, fino al centro commerciale di Due Carrare, 33 mila metri quadri ai piedi dei Colli di fronte al Catajo. È desolatamente degradata l’area del Pp1, che Boris Podrecca aveva disegnato non solo in altezza. Furono stoppate, invece, grazie al referendum nel 2004 le mastodontiche Torri Gregotti nel cuore dell’Arcella. Il Veneto, comunque, non smette mai di armarsi di cemento e di arricchirsi con il suolo. Anche a costo di bruciare il futuro nel falò delle vanità contingenti. L’ultima “visione” oscilla fra capannoni della logistica e supermercati a ogni angolo di strada.
Come risulta dai rapporti statistici (2019 – 2020) della Regione Veneto, gli esercizi commerciali tradizionali in sede fissa, che in genere occupano i centri storici, sono in calo nel 2019 dell’1,5 per cento rispetto al 2018, contrazione più accentuata rispetto all’andamento nazionale. Segnali di forte espansione vengono da tutte le forme della Grande distribuzione organizzata. In questo il Veneto è la regione del nord con la crescita più accentuata (+6 per cento nel 2019), per l’evidenza di un’offerta che ha modificato il commercio con la progressiva eliminazione delle piccole realtà familiari. Nel 2018 la Gdo in Veneto contava oltre duemila esercizi per oltre 2,6 milioni di metri quadrati (esclusi i parcheggi). Dal 2012 al 2019, il Veneto ha destinato 180 ettari per attività legate alla logistica.