La strada verso forme di lavoro più dignitose è resa impervia dal numero ancora elevato di infortuni mortali. Con una media di 3,03 lavoratori morti al giorno ogni centomila abitanti, 745 in numeri assoluti dei quali 142 stranieri, l’Italia non offre un quadro confortante. Ma, sfortunatamente, non è neppure troppo distante dalle medie di altri Paesi europei. Lo dice l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Vega, aggiornato al 30 novembre scorso, che vede una crescita rispetto ai 722 totali del 2022. Tutto questo, peraltro, con significative differenze tra una Regione italiana e l’altra. Nel Veneto i numeri assoluti preoccupano e marcano ulteriori divergenze tra le sue sette province; tuttavia, non mancano sprazzi di ottimismo. Le principali rappresentanze sindacali sono tornate a più riprese sulla questione, partendo dai dati di Vega: «Con 69 morti eravamo al terzo posto in Italia dopo Lombardia e Campania – spiega il segretario regionale della Cisl Gianfranco Refosco – All’undicesimo, se prendiamo in considerazione un altro indice, perché si tratta di 32 casi ogni milione di occupati. In ogni caso è una situazione grave, per cui occorre intervenire nuovamente con tanta formazione per i lavoratori. Con l’assunzione nel contempo delle adeguate figure professionali: da tempo denunciamo gli organici sottodimensionati di istituti come lo Spisal, fondamentali per il monitoraggio della sicurezza lavorativa; il problema è aggravato dall’età elevata di chi è attualmente operativo e dovrà andare in pensione. Nello scorso anno, a fronte di 172 assunzioni abbiamo avuto 45 pensionamenti e 103 altre uscite». Per Refosco si sono persi gli effetti della sensibilizzazione che aveva portato alla fondamentale legge sulla sicurezza del 2008 (d.lgs.81/08). «Recenti fenomeni come il nuovo boom edilizio conseguente al Superbonus l’hanno addirittura fatta passare in secondo piano. Per non parlare della grande mobilità professionale in generale, tanta gente ha dato le dimissioni dal precedente posto di lavoro per lanciarsi in nuove avventure; da una parte questo è molto positivo, ma dall’altra implica tanta, nuova formazione che non sempre viene fatta». La situazione sugli infortuni varia anche a seconda delle province venete di riferimento. «In generale non è rosea e siamo preoccupati. Ma nel Veronese, nel Trevigiano e nel Veneziano i casi sono in crescita, altro che miglioramenti – precisa Silvana Fanelli, delegata Cgil per la sicurezza e l’immigrazione – Questo dipende dalle specificità di certi settori, diffusi di più in alcune zone che in altre. Mi riferisco al settore edilizio, con le cadute dalle impalcature o la caduta stessa dei materiali. Come pure al comparto agricolo e ai prodotti tipici, per esempio ai trattori e ad altri mezzi che si ribaltano schiacciando il conducente. Ai numeri bisognerebbe aggiungere quelli che emergono da processi in altre parti d’Italia, penso alla sentenza sul colosso della logistica Bartolini». Anche Fanelli rilancia la necessità di intervenire in forma massiccia sugli organi di prevenzione e controllo, Spisal e Ispettorato del lavoro in primis: «Sono fondamentali per contrastare il fenomeno del caporalato, ben presente nel territorio regionale, che spesso incide sulla frequenza di infortuni».
«Spisal e Ispettorato sono due ambiti importanti su cui intervenire – aggiunge Roberto Toigo, segretario regionale di Uil – È bene però ricordare che si tratta di una questione culturale, di adeguato approccio al lavoro e alle sue mansioni. Vale per i datori di lavoro come pure per i dipendenti. Lo dico da ex operaio, a volte ci si fa prendere dall’ansia della performance e si trascurano certi accorgimenti e regole fondamentali per evitare pericoli. Tutto questo si amplifica per tanti immigrati, perché in più di qualche occasione vengono da realtà molto difficili e non si pongono il problema di operare in maniera sicura. Per loro si aggiunge spesso il problema della comunicazione, non conoscono a sufficienza la lingua italiana ed è difficile spiegargli il perché di certe misure». Toigo nel contempo tiene a bada il disfattismo. «Comunque, le leggi ci sono e sono state aggiornate più volte, molto spesso basterebbe applicarle. Inoltre, non bisogna trascurare che non mancano i passi avanti: certe campagne di prevenzione e sensibilizzazione hanno dato i loro frutti, solo nel Vicentino gli incidenti mortali sono passati in un anno da sedici a sette. Il tutto da rapportare, peraltro, al numero di ore effettivamente lavorate». Cioè, maggiore è la quantità di tempo d’impiego, maggiore è la probabilità di infortunio. «Se poi guardiamo al contesto italiano, siamo addirittura messi meglio di altri Paesi dell’Europa Occidentale: in Francia la media di morti è di 3,16 ogni centomila, in Portogallo di 3,62». Per i sindacati è urgente avere a disposizione gli strumenti organici elaborati dalle Regioni, nella fattispecie il Piano strategico della sicurezza sul lavoro. «Ha cadenza triennale e l’ultimo per il Veneto è scaduto il 31 dicembre – continua Refosco della Cisl – Chiediamo nuovi incontri con la Giunta regionale e con tutte le parti sociali per elaborare il nuovo piano».
«Il settore della logistica in Veneto ha bisogno come non mai di esser “bonificato” da un’illegalità diffusa, anche in contesti presidiati dall’ente pubblico». È il commento di Devis Rizzo, presidente di Legacoop Veneto dopo la vicenda di illeciti che ha coinvolto alcune false cooperative operanti al Mercato agroalimentare di Padova, con lo sfruttamento di una trentina di lavoratori bengalesi. «Serve far uscire gli operatori dall’illegalità, ma dall’altra parte è necessario che sia riconosciuta la responsabilità in solido del committente: perché il problema non è mai solo delle coop o delle imprese, ma investe anche la committenza. È indispensabile selezionare gli operatori, istituendo un albo dei fornitori, che certifichi i requisiti che li rendono “impermeabili” da comportamenti illegali».