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Mappe | Mappe 11 – La città del futuro – dicembre 2022

lunedì 19 Dicembre 2022

Merci e logistica saranno sempre loro a modellare le città future?

Ernesto Milanesi
Ernesto Milanesi
collaboratore

Padova nel suo piccolo non fa eccezione. La visione miope delle merci che cancellano territorio e diritti umani ha già prodotto 105 milioni di euro di debiti con le banche, come si legge nel bilancio 2021 di Interporto Spa. Il boom, sulla carta urbanistica, di studentati universitari è un’altra spia inquietante. Traffico e inquinamento restano la zavorra costante di una città… uncool, fuori moda.

Un lampo di autocriticaIl recente convegno “Un cuore metropolitano per il Veneto”, promosso da Laser, Libera associazione sviluppo e ricerca, almeno offre un lampo di visioni a confronto. In particolare Leopoldo Destro, presidente di Assindustria Venetocentro, che indica il modello aggregativo della sua associazione come metodo: «Servono pianificazione e gestione comune. Certo, anche le infrastrutture. Ma senza dimenticare quelle immateriali, perché cultura e sapere condivisi sono decisivi». L’assessore regionale Roberto Marcato mette il dito nella piaga: «La governance deve essere politica, i partiti si devono riappropriare di questo ruolo. Purtroppo i leader di oggi hanno solo una visione tattica e guardano al consenso immediato». Infine, l’ex sindaco Ivo Rossi elenca i fallimenti dell’idea di Grande Veneto: la Pa-Tre-Ve, la legge sulle città metropolitane che permetteva a Padova di aggregarsi a Venezia, perfino Univeneto fra atenei. «Sistemi complessi spingono a rispondere davvero a come e chi li sa governare».

I paradigmi da sognoWoven City, la città del futuro ideata da Toyota: 70 ettari alle pendici del monte Fuji, in Giappone. Letteralmente la città intrecciata che rimanda all’origine della casa automobilistica nipponica che produceva telai. Con l’architetto danese Bjarke Ingels che progetta un “laboratorio vivente” e un “ecosistema di celle a idrogeno”: trasporti a guida autonoma, robotica dovunque, case intelligenti e totale connessione. In alternativa c’è Telosa: cinque milioni di residenti nel deserto americano. Un’idea da 400 miliardi di dollari concepita da Marc Lore, ex amministratore delegato della catena di negozi al dettaglio Walmart. Ovviamente, architettura green e sostenibilità energetica. Neom, provincia di Tabuk, Arabia Saudita. Dovrebbe essere la prima megalopoli planetaria futuribile. Il progetto è disegnato in 26 mila chilometri quadrati, tra il mar Rosso e il golfo di Aqaba. Un’area desertica (grande come il Belgio…) da affidare alle nuove tecnologie per popolare la super-smart city. Costo stimato dell’operazione 500 miliardi di dollari, in base al piano annunciato nel 2017 dal principe Mohammed Bin Salman. L’ambizione saudita si concretizzerà?

L’alternativa OnuDa Nairobi, lo United Nations Human Settlements Programme (il programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani fondato nel 1978) scandisce la raccomandazione che fa la differenza: gli spazi pubblici delle città devono essere non meno del 40 per cento. Ma il “censimento” di due anni fa dimostra come oltre 900 città di 114 Paesi hanno una media del 16 per cento di aree comuni. Dunque, il futuro delle città nell’intero pianeta – al di là delle formule verdi e intelligenti – si gioca ancora fra pubblico e privato, socialità e individualismo, permeabilità e divisioni.

Il rapporto IstatFocalizzato sul Goal 11 dell’Agenda 2030, relativo alla riduzione dell’inquinamento pro capite prodotto dalle città, in particolare qualità dell’aria e gestione dei rifiuti, il rapporto dimostra una volta di più il vero nodo da sciogliere. Quasi un quarto della popolazione in Italia vive in condizioni tutt’altro che sostenibili. Per altro, dietro il Superbonus di facciata, le abitazioni e gli edifici pubblici andrebbero spesso “rigenerati” senza bisogno di nuove costruzioni. E il trasporto pubblico necessita sempre di maggiori investimenti per diventare valida alternativa.

La cura mancataNel 2000, l’urbanista Pierluigi Cervellati pubblica L’arte di curare la città argomentando il valore della manutenzione urbana. E smontando il mito del centro storico, dominato da banche e uffici, nelle città che hanno “sfondato” le mura conglobando periferie e campagna. La sua “architettura artigianale”, tuttavia, è rimasta sulla carta. Pierluigi Cervellati chiosa così: «Vedo le cinquanta sfumature di nulla: il turismo sempre più di rapina, le città sempre più degradate, gli uomini sempre più stressati e non ho la certezza che il mestiere di urbanista sia servito per difenderci da tutto questo…».

E lo sguardo criticoSe si guarda alle città come miniere, diventa semplice tradurre la metafora. I “giacimenti culturali” sono funzionali al turismo, le “gallerie” al commercio, i “pozzi” alla finanza immobiliare, anche “eduzione” richiama i rischi di catastrofi idriche. È proprio la città-miniera che sta incarnando compiutamente il “sistema estrattivo”. C’è chi accumula ricchezze, mentre spossessa i cittadini. Di nuovo le merci dettano legge sui residenti. Perfino il diritto alla salute, i brand culturali o i saperi in formazione offrono occasioni d’oro. La città, in teoria, è bene comune: spazio di tutti. Ma, di fatto, è terra di conquista, profitti, privatizzazioni. L’erosione del patrimonio pubblico è stata la regola sussidiaria della globalizzazione come ideologia. Ancora: la logistica, che spiana la strada alla volontà di potenza estrattiva. Grande distribuzione significa scale di grandezza ciclopiche. Gli acquisti online si reggono sul trasporto sempre più veloce. E ogni produzione deve fluidificare al massimo il collegamento ai consumi. A ben guardare, c’è un fondamento logistico addirittura nelle piattaforme del turismo post-moderno, come nei “corridoi virtuali” della città futura: la nuova miniera?

Ambiente, un dazio per le importazioni

Per la prima volta al mondo, l’Unione europea è pronta ad adottare un “dazio ambientale”, un’imposta che andrà a colpire i beni industriali (dei settori acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti, elettricità, ma anche idrogeno) importati sul territorio comunitario e che hanno prodotto particolari volumi di emissioni nocive. L’accordo è stato trovato, lo scorso martedì 13 dicembre, dal Parlamento e dal Consiglio. L’entrata in vigore dipenderà da una riforma del mercato delle emissioni nocive. L’obiettivo del dazio ambientale (in inglese carbon border adjustment mechanism) è di evitare il trasferimento in paesi terzi della produzione inquinante di imprese europee.

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