Il complesso ricorderà il Bosco verticale realizzato a Milano da Stefano Boeri perché gli edifici vedranno arbusti collocati in vasche nelle ampie terrazze. È il Zairo Urban Forest, il progetto da 80 milioni di euro che sorgerà a Padova, in zona San Lazzaro, in prossimità del nuovo ospedale. Taglio del nastro nel 2025 e appartamenti già in vendita a duemila metri quadri. E sì che lo stesso Bosco verticale viene citato da Un-Habitat, il programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, come modello virtuoso di residenza sostenibile e riforestazione metropolitana, ma allo stato attuale la transizione ecologia è un fatto per ricchi? «Possiamo perseguire questo tipo di edilizia, ma deve diventare una strada democratica, cosa che attualmente non è – evidenzia Margherita Cera, assessora del Comune di Padova che annovera tra le varie deleghe anche quella alla Soft city – Il Bosco verticale è la soluzione per una famiglia media? No. Io punterei anche sui tetti verdi, ci sarebbero tante aree nella zona industriale di Padova da riconvertire, ma oggi questa edilizia è insostenibile». Lo scorso novembre, l’assessora ha partecipato all’Intelligent Cities Challenge (Icc) Mayors Forum di Barcellona, un’iniziativa della Commissione Europea che supporta 136 città nell’implementazione di tecnologie d’avanguardia per una trasformazione intelligente e sostenibile delle città.
Assorbendo le esperienze delle altre realtà urbane, cosa è emerso? Come si progetta una città del futuro?«Il confronto con gli altri sindaci ha ribadito la necessità del Green deal (iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050, ndr) da realizzare cercando di tenere conto delle specificità di ogni città e territorio. Non esiste, insomma, un modello esatto per tutti: per certi aspetti sembra una contraddizione, ci troviamo a livello sovranazionale per poi dire che non possiamo trovare degli standard perché ogni città deve tenere conto delle sue peculiarità. Una città che vive di turismo sarà diversa da quella industriale o che vive di università. Certamente la città del futuro si costruisce tenendo conto dei fabbisogni dei cittadini e coinvolgendoli».
È presto per immaginare droni volanti, ma i servizi delle città saranno sempre più digitalizzati. Che spazio avrà la tecnologia e che controllo avrà l’uomo su di essa?«Il ruolo centrale lo avrà la possibilità di analizzare i dati. È cosa nota: i dati sono il petrolio di questa epoca, c’è una corsa alla raccolta di informazioni, ma non è altrettanto ben stabilito come utilizzarli. A Padova, molti sono i progetti in cantiere per realizzare la smart city intesa come città connessa, capace di raccogliere, interpretare, analizzare i dati legati alla mobilità dolce, che sia flusso di biciclette e mezzi elettrici, o app per gestire i parcheggi ed evitare congestione, traffico e inquinamento. C’è tutta la sensoristica per il settore ambientale e poi quella per rilevare il consumo energetico degli edifici comunali». Gli studi demografici ci dicono che nei prossimi decenni, l’umanità abbandonerà sempre più la campagna o periferia per vivere in agglomerati urbani che diventeranno calamite, attrattive. La pandemia, però, ha posto il problema degli spazi, dell’abitare in aree anguste e prive di verde e servizi.
Garantire a ciascun cittadino, sia esso del centro e delle altre esterne, stessi diritti e senso di appartenenza sarà una grande sfida?«La città del futuro sarà inclusiva nel senso più ampio del termine. Padova eroga servizi per 500 mila cittadini, cioè perl’intera cintura urbana ed è il tema della Grande Padova che ingloba gli 11 Comuni contermini. Insieme siamo assegnatari di 21 milioni di euro con i finanziamenti del Por Fesr e per spendere questa somma verrà concordata una strategia unitaria: sappiamo già che un milione di euro saranno investiti sulla digitalizzazione, oltre 4 milioni euro per le politiche abitative, e questo dimostra l’importanza di progettare assieme. Le nuove linee del tram saranno un ulteriore incentivo a una connessione più ampia».
La popolazione italiana invecchia e nascono meno figli. La città del domani deve assecondare questo trend o può intervenire ribaltando le prospettive?«Noi abbiamo una risorsa enorme, l’università che conta 70 mila studenti: l’inversione al calo demografico è trattenere sul territorio gli studenti che qui ci spendono almeno cinque anni. Le persone rimangono se vivono bene, con un mercato del lavoro florido e condizioni di vita agevoli. Da qui a trent’anni avremo una crisi di competenze e risorse da impiegare nel lavoro».