I primi mesi del lockdown del 2020, in pieno Covid-19, sono stati ulteriormente complessi per il fatto che moltissimi volontari non hanno potuto prestare il proprio servizio poiché spesso in età avanzata e quindi particolarmente a rischio di contagio e vulnerabilità. Ma durante la fase critica della pandemia e anche nei mesi successivi, c’è stata un’inedita risposta immediata soprattutto dei giovani, che in maniera informale e spontanea si sono subito attivati per fornire supporto nelle proprie comunità, in sinergia con le associazioni e con rete attivata assieme ad amministratori comunali e realtà ecclesiali. «Spero che questa esperienza duri anche dopo l’emergenza» è la risposta registrata un po’ ovunque dai vari Centri di servizio volontario sparsi sul territorio; perché questo periodo sarà forse ricordato per un dato particolare, l’alto numero dei “nuovi” volontari. Tanti ragazzi e ragazze, in gran parte non legati ad associazioni, spesso alla prima esperienza solidale, che hanno risposto agli appelli distribuendo mascherine o medicinali, borse alimentari o “semplice” sostegno. Era il 14 marzo 2020 quando il Comune di Padova, la Diocesi e il Csv lanciavano il progetto “Per Padova noi ci siamo”: 1.670 volontari aderirono all’iniziativa e tra loro c’erano giovani under-35, corrispondenti al 53 per cento del totale (e di questi, il 55 per cento alla prima esperienza), e stranieri che solitamente corrispondono al 2 per cento della mano del volontario, ma in questa occasione avevano toccato quota 10 per cento. Energie e volontà che sono entrati in qualche maniera in circolo e lo dice anche un sondaggio dell’Osservatorio giovani diMtv, di cui riferisce il Csv del Lazio: con l’emergenza è tornata in molti under 30 «la voglia di mettersi al servizio della comunità: il 51 per cento ha trovato il modo di rendersi utile per parenti stretti e vicini di casa, il 22 per cento ha iniziato a partecipare a iniziative di volontariato e il 35 per cento ha promosso o ha partecipato a raccolte fondi o donazioni». Scansafatiche, ricambio generazionale e altri cliché che sistematicamente si passano da una generazione all’altra. Anche il terzo settore non è immune, eppure: «È sempre stato così – sottolinea Niccolò Gennaro, direttore generale Csv di Padova – C’è una retorica fastidiosa e uno stigma sui giovani che ogni generazione perpetua su quella successiva. L’attivazione giovanile parte durante le scuole superiori e l’università: è molto forte e si distingue per iniziative di impatto culturale e politico: pensiamo alle varie iniziative per la salvaguardia ambientale, il Friday for future, argomenti che loro sentono, ne sono sensibili e si sentono investiti di responsabilità. Ma ci sono anche i festival che hanno un numero impressionante di volontariato. Diciamo che la “chiamata” risponde a tre requisiti: un alto valore ideologico, la certezza di tempo dell’impiego, anche limitato, e un’agevole codifica delle attività da fare». Il giovane di 60 anni fa come quello di oggi ha un pattern di valori trasformativi della realtà: tutti a 18 anni vogliono cambiare il mondo, raddrizzare le storture ed essere protagonisti di un cambiamento. È applicabile con tutte le generazioni, così come, numeri alla mano, si assiste a una fisiologica dispersione: solo una minima parte trasforma la propria vocazione volontaria da sporadica a sistemica. Lavoro, famiglia, l’accudimento dei genitori e dei figli, impongono all’individuo delle scelte, “declassando” il volontariato a tempo residuale. Ma superati i 50 anni si torna ad avere voglia di spendere in maniera utile il proprio tempo libero.