MosaicoFattorie socialiSono poche ma diverse tra loro le esperienze di imprese e cooperative padovane, che dal nuovo progetto di legge si attendono una svolta operativa e maggiore riconoscimento
L’agricoltura sociale veneta si rinnova: per le fattorie sociali cosa cambierebbe con l’approvazione del nuovo progetto di legge regionale? Per alcune poco, altre si aspettano miglioramenti ma non mancano i punti di domanda. Questo è il pensiero delle realtà padovane iscritte all’albo regionale. Che sono quattro: le società agricole Il Brolo di Treponti di Teolo e Alla croce 1796 di Selvazzano, entrambe promosse dalla cooperativa sociale Idee Verdi, e poi ancora la Fattoria sociale del Gruppo Polis di Padova e la cooperativa sociale agricola Caresà di Piove di Sacco. «Dal progetto di legge non prevedo per le nostre realtà un grande stravolgimento rispetto alla normativa in vigore – racconta Marco Cavinato, presidente di Idee Verdi – perché di fatto amplia la fattispecie delle iscrizioni all’Albo e si adegua alla normativa nazionale del 2015. Trovo invece positivo che si parli di un tavolo regionale di concertazione per il settore: dopo che era stata promulgata la legge, qualche incontro era stato fatto ma poi tutto si era fermato, adesso che è previsto dalla normativa potrebbe riprendere vita». Quando era nata la legge regionale, l’aspettativa di chi si occupa di sociale era elevata, pur in presenza di una normativa inedita in un settore ancora di nicchia. Molte realtà sociali stavano provando a fare progetti in ambito agricolo, e molti agricoltori erano propensi a progetti a valenza sociale. Cavinato non ha paura di ammettere che, finora, i risultati per loro non sono stati quelli sperati. «Nella prassi, essere iscritti all’Albo regionale – spiega – a noi non ha portato molti vantaggi. Continuo però a riscontrare, anche a livello nazionale, un grande interesse e a vedere movimento nel settore. Perché la terra è un ambiente fragile, primordiale, e l’incontro con persone fragili non può che portare frutti. Noi stessi abbiamo sperimentato che avviare il recupero di una persona nel contesto delle attività agricole ha un risultato differente rispetto a farlo nell’altra nostra principale attività, che è la manutenzione del verde pubblico». Diverso è il pensiero di Roberto Baldo, presidente del Gruppo Polis, che tra le sue molte attività ha al suo interno anche quella agricola, di cui è interfaccia il negozio Fuori di Campo in via Due Palazzi. «Senza la normativa attuale – racconta Baldo – noi, come cooperativa sociale di tipo A, non potremmo utilizzare lo strumento dell’agricoltura nel progetto attuale di valutazione delle abilità e delle capacità dei giovani che escono dal circuito scolastico. Sono ragazzi tra i 18 e i 20 anni per i quali non è ancora chiaro se in termini di autonomia potrebbero accedere al mercato del lavoro o andrebbero indirizzati verso un centro diurno per le disabilità. Da noi possono provarsi per sei mesi, rinnovabili, tanto in campagna quanto negli ambiti della trasformazione o del negozio vero e proprio. Sono una quindicina all’anno. Non è chiaro se con la nuova legge, se sarà approvata, verrà meno la copertura giuridica che ci ha permesso finora di operare: ci sembra che tenda a restringere le maglie e vada più verso l’imprenditore agricolo che quello sociale. L’altro tema è la mancanza di risorse economiche: la legge non ne prevede, il 40 per cento di quello che serve per mandare avanti il progetto per noi viene dalle raccolte fondi». Anche Caresà, cooperativa sociale di tipo B con oggetto esclusivo in agricoltura, nata per dare lavoro a persone con svantaggio e disabilità e quindi immersa in entrambi i mondi, agricolo e sociale, racconta di non avere avuto grandi benefici “diretti” dalla normativa di settore. «Un beneficio – racconta Sara Tognato, socia fondatrice – è stato l’obbligo previsto dalla legge nazionale, per le mense pubbliche, di acquistare il 5 per cento dei prodotti da realtà di agricoltura sociale. Oggi arrivano regolarmente richieste di questo tipo, tuttavia spesso per prodotti fuori stagione o in quantità troppo elevate per le nostre dimensioni: qualche volta abbiamo potuto rispondere, realtà più piccole di fatto non ce la fanno». Tognato vede invece bene la direzione indicata dal nuovo progetto di legge: «Con l’attuale normativa alcune attività “sociali” che sono espressamente da fattoria sociale – continua – ma non connesse all’attività agricola, non vengono riconosciute. Il progetto di legge, adeguandosi a quello nazionale, lo farebbe e rappresenterebbe un bel passo avanti, facilitando anche la collaborazione tra aziende agricole e di cooperazione sociale. Se il previsto tavolo tecnico desse poi davvero gambe al dialogo tra l’agricoltura e il mondo del sociale, ora in particolare che si va verso la riforma degli ambiti territoriali sociali, fulcro della funzione socio assistenziale pubblica e che coinvolge tutti i Comuni veneti, sarebbe un successo».
Nell’ambito della Giornata del Ringraziamento 2024 promossa da Coldiretti, il 21 dicembre all’Istituto teologico triveneto si parla del tema con mons. Cipolla.
Quattro sono a oggi le fattorie sociali padovane: eccole in sintesi. Partiamo dalla Fattoria sociale Polis, che è un centro diurno per la formazione al lavoro di persone in difficoltà. All’interno della Fattoria sociale vengono infatti realizzati progetti finalizzati sia all’acquisizione di prerequisiti lavorativi in un contesto protetto, sia al potenziamento di competenze già presenti attraverso l’offerta di tirocini e stage di inserimento socio-lavorativo. Le attività consistono nella cura del terreno e coltivazione seguendo i corretti schemi di rotazione con messa a riposo e secondo i principi dell’agricoltura biologica, trasformazione, confezionamento, etichettatura e vendita nel negozio di via Due Palazzi, a Padova. Una seconda realtà è la cooperativa sociale agricola Caresà di Brugine, nata nel 2008 dall’idea di alcuni giovani che volevano lavorare in agricoltura e creare opportunità lavorative e di qualificazione professionale per persone che faticavano a inserirsi negli ordinari circuiti del mercato del lavoro. È una cooperativa sociale la cui attività prevalente è realmente quella agricola. Oggi dà lavoro a venti addetti, tra cui sei persone con disabilità psichica o intellettiva, cui si aggiungono tirocini per progetti di integrazione lavorativa (Sil) e persone in prova come percorso alternativo alla carcerazione; vi sono anche cinque ragazzi con spettro autistico che vengono seguiti da educatrici professionali. In totale, nei campi e serre di Caresà opera un totale di 32 persone. Il punto vendità è in via Ospitale a Brugine dove è attivo anche un agriturismo. Infine, due sono le società agricole promosse dalla cooperativa sociale Idee verdi. La prima a essere fondata è stata Il Brolo, nata dall’acquisizione di alcuni terreni dalla Fondazione La Bembiana a Treponti di Teolo, al confine con Monterosso. Oggi gestisce undici ettari di vigneto e due dedicati alla coltivazione del gelso nell’ambito del progetto sperimentale “Setica” per la produzione di seta. Tutta la produzione è certificata biologica e comprende anche vini da varietà resistenti (piwi), alcuni premiati nei concorsi di settore. Impiega persone con disabilità e svantaggiate. Più recente è la società agricola sociale Alla Croce 1796, che gestisce 4,5 ettari di seminativi: quest’anno è stato realizzato il primo raccolto di orzo, certificato biologico, con il quale verrà realizzata la prima produzione nel birrificio agricolo – ovvero che deve utilizzare una parte preponderante di materie prime autoprodotte – sito nell’annesso rustico un tempo probabilmente legato alla vicina abbazia di Praglia. Il nome infatti viene da una formella che riporta la data e una stella a otto punte, simbolo dell’abbazia.
