Verso le elezioni europee di fine maggio continua il percorso della Difesa e della Voce dei Berici tra obiettivi e investimenti della legislatura che si conclude. I fondi strutturali sono lo strumento principale della politica degli investimenti per lo sviluppo di tutta l’Unione Europea.
L’Unione Europea è diventata la prima area commerciale al mondo, con un mercato interno di oltre 500 milioni di cittadini con redditi mediamente alti, grazie a una strategia decennale di distribuzione della ricchezza.
Attraverso il meccanismo dei fondi europei, complessa e articolata pianificazione delle risorse a medio-lungo termine, molte regioni e molte aree di attività economica all’interno dei Paesi membri poco sviluppati, sono state supportate per aumentare reddito, produttività e benessere. Basti pensare che sono “piovuti” in Europa per il periodo 2014-2020 circa 350 miliardi di euro, pari al 36 per cento del bilancio comunitario.
I fondi strutturali europei sono lo strumento principale della politica degli investimenti per la coesione dell’Unione. A oggi sono suddivisi in macro categorie: il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo, il Fondo di coesione, il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e infine il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.
Il “braccio operativo” dell’Unione Europea è senza dubbio il Fesr, che concentra gli investimenti su diverse aree, in particolare sulle politiche territoriali. La sua azione mira a ridurre i problemi economici, ambientali e sociali che affliggono le aree urbane, investendo principalmente nello sviluppo urbano sostenibile.
Nel 2017, ultimo dato disponibile, l’Italia ha destinato al bilancio europeo poco più di 13 miliardi di euro e ha ricevuto indietro 9,795 miliardi. I soldi che ritornano all’Italia vengono usati in gran parte per i sussidi all’agricoltura e per le politiche di coesione, soprattutto per tentare di “assorbire” il divario tra Nord, Centro e Sud, e per finanziare politiche sociali volte alla formazione professionale e contro l’esclusione sociale.
Per il 2014-2020, per l’Italia sono stati stanziati 42,77 miliardi di euro attraverso 75 programmi nazionali e regionali per occupazione e crescita, potenziamento di ricerca e innovazione, tutela dell’ambiente e aumento della partecipazione al mercato del lavoro.
Dal punto di vista politico va segnalato che i fondi europei, soprattutto nei Paesi prima sotto l’influenza dell’ex Unione Sovietica, hanno garantito uno straordinario flusso di risorse economiche che hanno in pochi anni cambiato la geografia economica di molte città e di intere regioni. Uno degli “anelli deboli” in tema di utilizzo dei fondi europei resta invece proprio l’Italia: le ultime cifre della direzione Politiche regionali della Commissione europea sono impietose, soprattutto per alcune regioni italiane. La Sicilia, per fare un esempio, dovrà rinunciare a più di un terzo (534 milioni) dei fondi a sua disposizione. Il 31 dicembre 2018 è, infatti, entrata in vigore la regola dell’”N+3” che prevede la revoca automatica delle somme la cui spesa non viene certificata entro tre anni dalla data di utilizzo.
