Entrambe le parole del titolo, che specificano il contenuto di queste righe, sono di difficile digestione e probabilmente ci riportano a situazioni o avvenimenti faticosi o addirittura ferenti.
Chi non si ricorda un giudizio spigoloso o addirittura negativo di una prestazione o di un compito affidato? Chi non ha sentito il peso di una valutazione sfiancante e a tratti ingiusta? Le esperienze nelle quali qualcun altro ha messo il dito nella piaga del nostro fallimento sono spesso rifuggite con scandalo o vergogna e quindi incapaci di portare il frutto che in realtà hanno in potenza. Il giudizio richiama i tribunali, richiama la forza esterna di una persona o di una legge che ha stabilito una condanna per le azioni che sono state portate alla sua attenzione e che hanno scavalcato l’argine entro il quale avrebbero dovuto stare. E la valutazione ricorda la scuola con le sue verifiche, i compiti in classe, magari a sorpresa, nei quali ciascuno era chiamato, più spesso richiamato, al silenzio e alla solitudine durante l’esecuzione. Sicuramente, viste così, troviamo poco di bello in queste esperienze e probabilmente il continuare a parlarne in questi termini produce solo fastidio. L’idea che mi guida non è quella di continuare a tormentarci in un ricordo amaro ma quello di provare a invertire la traiettoria ridando senso a questi termini, non solo e non tanto per chi ha figli in età scolare, ma soprattutto per noi adulti. Se parlo di giudizio, lo sguardo potrebbe poggiarsi anche sul meraviglioso affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni nel quale Gesù, arrivato alla fine dei tempi, torna nel suo grande splendore a mantenere le promesse di eternità che da sempre fanno parte della nostra vita. E come pastore benevolo cercherà di salvare chiunque possa presentarsi al suo cospetto con i segni evidenti di un amore incarnato che sarà il viatico semplice ma necessario per la vita senza fine. Una vita che è una promessa ma che è già ora presente nel nostro cuore, già capace di riflettersi in quell’eternità senza fatiche e piena di sorrisi, di abbracci e di festa. Metteremo agli atti tutti i nostri gesti di bene, quelli piccoli, quelli grandi, quelli ordinari e quelli straordinari e il giudizio sarà una gioia certa come certo il suo perdono. Quando parlo di valutazione potrà tornarci alla mente il percorso di un viaggio. Ogni viaggio secondo il nostro mondo deve avere un traguardo da raggiungere e questo è vero per quasi tutte le volte che ci mettiamo per strada. Ma non vale per la vita che non ha un obiettivo da raggiungere o meglio non ha un tempo prefissato per raggiungerlo, in quanto nessuno di noi ha la possibilità di sapere quando il viaggio finisce. Quindi nella vita cosa mi verifica il fatto che stia andando bene? Il percorso, il tragitto, la quotidianità, il modo con cui vivo giorno dopo giorno, il processo, non il prodotto finale. Nella vita, come vivo il viaggio identifica già la meta, ma per verificarmi in questo devo trovare dei momenti per autovalutarmi e anche correggermi. Ecco che il senso, visto in questa prospettiva, prende una direzione diversa. È attraverso questa capacità che potrò chiedere a un ragazzo se ha fatto bene o male, è attraverso la valutazione delle proprie azioni che potrà imparare dai suoi gesti, è attraverso una riflessione sul pezzo di strada che ha percorso che potrà guadagnarne un’esperienza. Il coraggio sarà un buon compagno di viaggio perché ci darà l’occasione di confrontarci guardandoci allo specchio, dandoci nuove possibilità di migliorarci, di giudicarci per il bene che siamo e di valutarci capaci di essere un bene per gli altri. Coraggio!
Matteo Pasqual
Educatore, Pedagogista, Filosofo Clinico e Formatore Sociale