A partire da quest’anno scolastico l’utilizzo degli smartphone sarà vietato anche nelle aule degli istituti secondari di secondo grado. Negli ambienti di apprendimento, questo strumento rappresenta un’insidia e un ostacolo per il corretto sviluppo cognitivo dei giovani? Ne parliamo con Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro di Milano, nonché autore del recente volume “Chiamami adulto. Come stare in relazione con gli adolescenti” (2025, Raffaello Cortina editore).
Il rapporto tra adolescenti e smartphone è sempre più simbiotico. Quali sono le cause?
Il filosofo Luciano Floridi ha definito l’esistenza dell’uomo contemporaneo con il neologismo “onlife”, descrivendo una dimensione dove i confini tra realtà e mondo virtuale sono sempre più labili. Negli ultimi decenni il nostro stile di vita si è trasformato profondamente e siamo stati investiti dalla cosiddetta rivoluzione digitale. Ma non solo… Un tempo i giovani costruivano la propria identità in strada e nei cortili, a stretto contatto con i pari. Poi la strada è diventata un luogo pericoloso, così abbiamo iniziato a crescere i nostri figli all’interno di ambienti chiusi e protetti, “sequestrando” di fatto i loro corpi nelle mura domestiche. Lo sviluppo evolutivo oggi si realizza nella società onlife. In questo scenario, dove gli stessi genitori sono i principali “spacciatori” di smartphone dei propri figli, i giovani e perfino i giovanissimi hanno costruito una relazione strettissima con i dispositivi, percorrendo però una strada già tracciata dagli adulti.
Tra i giovani si riscontra un significativo calo delle capacità attentive e una maggiore predisposizione al multitasking. Siamo di fronte a un danno cognitivo causato dai dispositivi digitali, o a un cambiamento evolutivo?
È troppo presto per giungere a conclusioni. Sicuramente stiamo assistendo a un processo di trasformazione che investe anche i processi di apprendimento e che si fa più evidente nelle aule scolastiche, dove le metodologie che veicolano conoscenze e saperi faticano a tenere il passo e a sollecitare la curiosità dei discenti. Anche il sistema di valutazione attuale non è adeguato a motivare gli studenti, il voto numerico è ancora “intoccabile” ma risulta parziale e non in grado di descrivere il percorso di uno studente.
L’eccessiva esposizione ai dispositivi però solleva il rischio “dipendenza”…
Il DSM 5 – Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, non riconosce ufficialmente la dipendenza da Internet come un disturbo mentale. Non ci sono di fatto indicatori affidabili che possano evidenziarla. Se prendessimo come riferimento il numero delle ore di fruizione della rete, risulteremmo tutti “dipendenti”…
E la sfera emotiva dei bambini e degli adolescenti non può essere danneggiata dai condizionamenti della rete?
Il problema in questo caso è educativo. Ci sono emozioni e sentimenti che, per eccesso di protezione, vengono repressi dalla nostra società. I bambini vivono costantemente sotto “scorta” e monitorati da un controllo genitoriale che non è reale attenzione, basti pensare ai gruppi whatsapp dei genitori. Le emozioni negative come la rabbia, o la tristezza sono “negate”, quelle positive subiscono processi di eccessiva esposizione, anche mediatica. Proteggerli da esperienze forti, come ad esempio il dolore, è molto diverso dal chiedere loro di non provarle.
I social media, o i videogames possono alimentare comportamenti violenti nei giovani?
In questo momento sono in corso sul nostro pianeta un numero impressionante di guerre. I media ci mostrano immagini reali di distruzione e morte che coinvolgono civili e bambini. Viviamo in una società fortemente individualista, dove si sta facendo strada la convinzione che sia lecito “farsi giustizia da soli”. In questo contesto possiamo davvero credere che la violenza giovanile derivi da una eccessiva esposizione ai social o ai videogames? Dovremmo piuttosto interrogarci se siamo davvero in grado di educare i nostri giovani al rispetto, alla convivenza civile e alla pace. Tra l’altro, stando ai dati riportati dalle statistiche, la violenza più diffusa negli ultimi anni viene esercitata dai giovani verso il proprio corpo…
Da settembre lo smartphone sarà bandito anche nelle aule scolastiche della scuola secondaria di secondo grado. Cosa pensa di questa misura?
Più che preoccuparsi se c’è un cellulare su un banco, la scuola dovrebbe impegnarsi a educare le nuove generazioni a interagire e confrontarsi in maniera costruttiva con la società onlife. Vietare lo smartphone in classe può essere un provvedimento rassicurante per genitori e insegnanti, ma risulta contraddittorio in una scuola che oggi è iperconnessa, tra chat di classe, registro elettronico, compiti assegnati e consegnati online. Alle scuole superiori lo smartphone dovrebbe trasformarsi in uno strumento utile per l’apprendimento. Proibire, inoltre, non è una misura che accresce la credibilità degli adulti, ne sottolinea piuttosto la fragilità e la mancanza di autorevolezza.