Storie
«Molti mi chiedono: come ti sei sognato di fare il cammino di Santiago? Legittima richiesta, anche perché, forse, non appare tanto normale che uno alla mia età, ritenga fattibile tale impresa». A parlare così è l’architetto Roberto Martin, 84 anni, di Pontelongo, quando racconta il “suo” cammino di Santiago”, compiuto tra la fine di maggio e i primi di luglio. «Riflettendo, ho capito che il cammino è nato certamente da un desiderio: in un momento di difficile cambiamento ci si aggrappa, forse, a un’eco anche se non ben identificabile, a un’idea indefinita non collegabile alla logica o a un interesse preciso. E così ti ritrovi un mattino all’alba, con uno zaino sulle spalle, ad affrontare una giornata che pensavi di aver ben programmato, studiato e definito e invece, passo dopo passo, sei improvvisamente immerso in una avventura che ti sconcerta».
Questa la premessa di Martin, per poi entrare nel vivo della sua esperienza, nata tra l’altro, dopo la morte dell’amata consorte. «Il paesaggio che attraversi e i tuoi passi ti riempiono, 790 chilometri da percorrere non ti spaventano, scopri subito che il cammino è una condizione interiore di sospensione e di silenzio, ascolti i tuoi passi, il cuore, le ginocchia e sei attento al sentiero, spesso difficile e pericoloso, in una solitaria intimità. Sei solo, con il gusto di un tempo che scorre utilmente per condurti all’arrivo che hai previsto». E ancora: «Sei attento ai luoghi che incontri, non riesci a comprendere subito che la tua esperienza ti collega alla storia dei tanti che prima di te hanno solcato quello stesso sentiero, sei immerso in una condizione di fragilità, ti rendi conto dei limiti a cui sei sottoposto. Ti senti improvvisamente solo e ti assale la speranza che ci sia qualcuno dietro di te, qualcuno che ti raggiunga».
La fatica si è fatta sentire e il pellegrino Roberto Martin la racconta così: «I conti sui chilometri non tornano mai; vero è che a volte sbagli percorso, che i sentieri si dividono o prevedono varianti e che spesso sorgono situazioni impreviste o volute deviazioni. Anche quattro soli chilometri in più creano però tanti minuti di fatica imprevista e se sbagli strada, perché ti è sfuggita la piccola striscia gialla da seguire, devi prepararti a un supplemento di resistenza e non solo fisica. Si scopre così che ogni passo, ogni traguardo anche se piccolo può divenire fonte di gioia, che ogni incontro si trasforma in condivisione e serenità. Ogni giorno bisogna muoversi con uno zaino sulle spalle nel quale c’è tutto quello che ti consente di sentirti sicuro, anche se a volte pesa tremendamente, ma sin dal primo giorno hai scoperto il valore della condivisione della fatica e delle speranze, la bellezza di ritrovarsi fra persone che quando si re-incontrano sui sentieri, magari dopo giorni, si abbracciano».
E sulle relazioni casuali intessute lungo la strada aggiunge: «Il cammino è anche tante “storie” incontri, convergenze impreviste, condivisione di solitudini, di vicende personali dolorose, inespresse ma percepite, di resistenze e di speranze».
Oltre un mese di strada, da solo, non è cosa di poco conto: «Gli ultimi giorni che mancano all’arrivo sono i più pesanti, in quei momenti mi tornavano alla mente gli ultimi chilometri prima dell’arrivo alla maratona di New York. Quando poi arrivi a Santiago tutto quello che avevi accumulato esplode, è la felicità e la pienezza, un fuoco di artificio. Sedersi per terra sul sagrato era l’obiettivo sognato, sei vivo, una persona libera, la messa del pellegrino, la Madonna dell’Aurora».
E una volta tornato a casa, nella sua Pontelongo, resta comunque un pellegrino: «Il cammino ritorna, i ricordi si affacciano e con essi i pensieri che non sapevi di avere elaborato. Scopri che anche altri pellegrini si ritrovano in questa strana dimensione, è come una “sindrome” del cammino di Santiago. Il ritorno di immagini che ti conducono in una dimensione altra, sgombra da condizionamenti e da desideri, quasi spirituale. Una condizione di libertà irripetibile raggiunta attraverso l’umiltà e la semplicità con cui hai camminato passo dopo passo. Ti accorgi di aver fatto un’esperienza unica e irripetibile con Dio».

38 giorni di cammino (42 quelli lontano da casa), 790 chilometri segnati sul percorso francese di Roncisvalle, 755 quelli ufficialmente riconosciuti all’arrivo a Santiago de Compostela; più di 1.300 i chilometri realmente percorsi, con una ascesa fino a oltre 1.500 metri di altitudine: sono alcuni dei numeri del cammino portato a termine da Roberto Martin, 84enne di Pontelongo.
Il parroco di Pontelongo, don Carlo Pampalon, suggerisce una pista di lettura del cammino di Santiago compiuto da Roberto Martin: «Mi ha risvegliato pensieri e sentimenti circa il senso del peregrinare: la vita ordinaria è sospesa, per più di un mese c’è soltanto Dio, ci sono io e i fratelli e le sorelle di cammino, tutto di me si mette in moto. Il pellegrinaggio esteriore è l’occasione per il pellegrinaggio interiore: nell’anima c’è un cammino, una visitazione, un calcare dimensioni assopite o sconosciute del proprio io e del proprio Dio, che proprio in queste esperienze diventa intimo anche in senso affettivo».
Aggiunge Lisa Bregantin, sindaca di Pontelongo: «Siamo davvero felici per Roberto Martin, non solo perché è stato sindaco del nostro paese, ma perché è una persona impegnata a vari livelli nella comunità. Una persona che si mette sempre a disposizione con gratuità».