Fatti
La Cina epura gli uiguri. Prigionia nei lager, pratiche religiose represse, sterilizzazione delle donne
Così gli eredi della tribù mongola vengono perseguitati nella regione dello Xinjiang
Così gli eredi della tribù mongola vengono perseguitati nella regione dello Xinjiang
Turcofoni, cioè minoranza straniera. Islamici e, quindi, terroristi. Nemici del popolo da perseguitare senza pietà. Sono gli uiguri (letteralmente “uniti”, eredi della tribù mongola) che in 11 milioni vivono nello Xinjiang, regione autonoma del Nordovest che la Repubblica Popolare Cinese ha annesso nel 1955.
Il New York Times già il 16 novembre 2019 aveva pubblicato il riassunto di 400 pagine di documenti riguardanti i discorsi del presidente Xi Jinping e di altri funzionari più le direttive interne del Partito comunista: sono i cosiddetti “Xinjiang Papers” che informavano il mondo e confermavano la pianificazione delle persecuzioni e della “rieducazione” della popolazione “indigena” nella zona che confina con otto Stati (fra cui Russia e India).
Non meno di un milione di detenuti nei lager cinesi, la repressione delle pratiche religiose e culturali, l’indottrinamento politico, le violazioni dei diritti umani, la sterilizzazione delle donne, il lavoro forzato a beneficio delle multinazionali: il “dossier uiguri” è agli atti.
A marzo, l’Unione Europea ha imposto divieti di viaggio e congelato i beni di Chen Mingguo, il direttore dell’Ufficio di pubblica sicurezza dello Xinjiang, del funzionario cinese Wang Mingshan, segretario del comitato per gli affari politici e giuridici, e del collega Wang Junzheng. Ma soprattutto di Zhu Hailun: già vicecapo della tredicesima Assemblea del popolo della Regione dal 2016 al 2019, è stato il massimo responsabile del programma di sorveglianza, detenzione e indottrinamento degli uiguri. Sottoposto a sanzioni anche il Production and Construction corps public security bureau, organizzazione economica e paramilitare statale dello Xinjiang.
E non va dimenticato che il 18 dicembre 2019 nell’aula del Parlamento europeo, Jewher Ilham ha ritirato il premio Sacharov per la libertà di pensiero. Era stato assegnato al padre, Ilham Tohti, detenuto dal 2014: «Da oltre vent’anni lavora instancabilmente per promuovere il dialogo e la comprensione reciproca tra gli uiguri e gli altri popoli cinesi. Ciononostante, è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di separatismo», aveva affermato il presidente David Sassoli nel discorso di premiazione. Jewher Ilham regalò la voce a suo padre: «Sono grata di poter raccontare la sua storia, perché lui non lo può fare. A dir la verità, non so dove sia. Mio padre come molti uiguri è stato etichettato come violento estremista, con una malattia da curare e un cervello che deve essere ripulito».
In Francia è fresco di stampa Rescapée du goulag chinois (Editions des Equateurs), diario-testimonianza curato dalla giornalista Rozenn Morgat. È la storia di Gulbahar Haitiwaji, emigrata con la famiglia nel 2006, che aveva ricevuto la richiesta di tornare in Cina per firmare alcuni documenti per la pensione. Una trappola spietata: è stata arrestata e rinchiusa in un campo di concentramento per due anni.
A settembre, il New York Times ha invece diffuso le immagini delle moschee nello Xinjiang profanate e dei santuari uiguri demoliti. Tutto confermato dal satellite dell’Australian Strategic Policy Institute, l’organismo che si occupa di analisi politiche. La Cina impone agli uiguri la videosorveglianza nei tornelli d’ingresso ai condomini, la cyber-sicurezza su spostamenti e comunicazioni, i controlli di polizia sulle famiglie.
Persecuzioni anche sul fronte religioso: le moschee non possono più “chiamare” alla preghiera, è vietato celebrare il Ramadan, le donne non devono più avere il velo e gli uomini portare la barba. Del resto, lo Xinjiang è un’area strategica per Pechino. Nella zona di Lop Nor, dove il lago salato ha ceduto il posto a una specie di deserto, fin dal 1959 si ripetono i test delle armi nucleari. E qui passa il nuovo gasdotto frutto dell’intesa di PetroChina con i russi di Gazprom e gli olandesi di Shell.
Il 40 per cento dei pannelli solari utilizzati in Gran Bretagna usano componenti prodotti da aziende cinesi che li fabbricano nei campi di lavoro forzato in cui sono rinchiusi gli uiguri. Lo rivela un’inchiesta del Guardian, affermando che il ministero della Difesa britannico, un grande fornitore di energie rinnovabili come United Utilities e altre società del settore sono fra gli acquirenti di pannelli solari cinesi fabbricati nei campi di detenzione.