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Mappe IconMappe | Mappe 18 – Salute e benessere – dicembre 2023

martedì 19 Dicembre 2023

La crisi d’assistenza. Cosa succederà dopo il Pnrr?

Cosa succederà dopo il Pnrr? Rispetto ai piani iniziali, ghigliottina su Case della comunità e ospedali territoriali

Ernesto Milanesi
Ernesto Milanesi
collaboratore

La pandemia ha cristallizzato il prezioso valore del Servizio sanitario e il Veneto (con l’esperienza pilota a Vo’) ha saputo reggere meglio di altri nella massima emergenza Tuttavia ormai da decenni tutti i governi (a Roma come a Venezia) “limano” il principio universalistico del welfare con ticket, tagli di bilancio, chiusura di ospedali e riduzione dei servizi.

Le risorse indispensabili Nel 2023 per la sanità pubblica erano stanziati 128 miliardi 869 milioni 200 mila euro. Al Veneto destinati 9 miliardi 901 milioni 602 mila 763 euro, più 46,9 milioni di “quota premiale” e altri 115 milioni per l’energia. La partita fra Stato e Regioni si gioca, appunto, sul Fondo sanitario. In agosto l’Emilia e poi anche la Toscana hanno approvato la proposta di legge “salva sanità” che mira al 7,5 per cento del Pil con aumenti progressivi del finanziamento per 4 miliardi all’anno fino al 2027.

L’impatto sociale Lo staff del Senato a maggio ha pubblicato il dossier che confronta il welfare (ideato nel 1943 da lord Beveridge) con il sistema privato di assicurazione volontaria (modello Usa). Aiuta a verificare lo stato di salute dell’Italia. Nel numero di posti letto per mille abitanti è terza in Europa: peccato che 3,19 sia meno della metà della Francia (7,82) seguita dalla Germania con 5,73. E va peggio con le strutture residenziali per anziani: «Nel 2019 l’Italia fa registrare la più bassa disponibilità di risorse (18,8 posti per mille abitanti di età pari o superiore a 65 anni) – è la nota dell’Ufficio valutazione impatto del Senato – È un dato particolarmente rilevante, che ci disallinea da tutti gli altri sistemi sanitari oggetto di comparazione: con gli Stati Uniti (29,9 posti), che pure occupano il penultimo posto di questa classifica. Gli altri Paesi destinano alle cure di lungo periodo risorse significativamente più ingenti, fino al picco svedese di 68,1 posti letto».

Il Pnrr? Un simulacro… A Bruxelles è stato “revisionato” il piano per iniziativa del Governo Meloni. La Missione 6 ora prevede 1.038 delle originali 1.350 Case della comunità, mentre gli ospedali territoriali sono scesi da 400 a 307. E c’è di più, perché il Governo aveva sottoscritto con le Regioni 1.425 Case della comunità, di cui 936 hub e 489 spoke (presidi ospedalieri territoriali). Nella revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza del 24 novembre scorso questa differenza scompare e alla Commissione Europea se ne prospettano 75 in meno. Sulla carta, in Veneto arriverebbe il 5,1 per cento dei finanziamenti europei a debito. Si tratta di 300 milioni di euro, 135,4 alle Case di comunità; 16,7 alle centrali operative territoriali; 73,9 agli ospedali di comunità; 74,2 all’assistenza domiciliare.

Ricognizione preoccupante L’Ufficio parlamentare di bilancio ha pubblicato la ricognizione del Servizio studi Affari sociali della Camera. «Ha individuato 163 ospedali di comunità nel 2020. La Regione con il maggior numero di dichiarati attivi è il Veneto (69), seguito dall’EmiliaRomagna (26), dalla Lombardia e dalla Toscana (20). Ed erano dichiarate attive Case della salute in 13 Regioni». Il documento contiene un giudizio e una preoccupazione. Prima afferma: «Gli orari ridotti, la presenza limitata di personale, il ritardo nell’integrazione dell’assistenza sanitaria con quella sociale hanno contribuito a ostacolare la trasformazione delle Case della salute in un punto di riferimento alternativo all’ospedale». Poi soprattutto si legge, nero su bianco: «Dal 2026, quando i fondi del Pnrr saranno esauriti, si dovrà reperire nell’ambito dei finanziamenti del Servizio sanitario più di un miliardo per dare continuità ai servizi di assistenza domiciliare. A questo si aggiunge un onere di 239 milioni di euro per il personale degli ospedali di comunità, a partire dal 2027».

La Corte fa i conti La telemedicina? Vale 4 miliardi di euro, ma sembra un’ambizione. L’assistenza domiciliare? «Non risulta ancora verificato e consolidato da parte del Ministero e di Agenas il conseguimento dell’obiettivo atteso per il 2022 rappresentato dall’incremento di 292 mila nuovi pazienti over 65». L’attivazione delle centrali operative territoriali? «Un disallineamento nel cronoprogramma era stato già registrato al 31 dicembre 2022, con la mancata assegnazione di almeno 600 progetti idonei per l’indizione della gara. Rischia di mettere in pericolo il raggiungimento del target di stipula dei contratti per la realizzazione degli interventi al 2023».

La “rivoluzione” del 1978

La legge 833 del 23 dicembre 1978 in 83 articoli è legata indissolubilmente a Tina Anselmi, per 345 giorni ministro della sanità, e a Fulvio Palopoli, parlamentare padovano del PCI che interpretava le istanze dei movimenti per la salute in fabbrica. Sanciva la sanità come diritto collettivo, bene comune, universale e gratuito: «Il Servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini»

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