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La polveriera libanese. In Parlamento forze contrapposte
Il Libano è la Santa Barbara del Medio Oriente: le elezioni del 16 maggio hanno innescato la mina vagante della politica nella già devastante crisi economico sociale.
FattiIl Libano è la Santa Barbara del Medio Oriente: le elezioni del 16 maggio hanno innescato la mina vagante della politica nella già devastante crisi economico sociale.
Il Parlamento di Beirut conta 128 seggi. Hezbollah (il “partito di Dio” sciita) e il gruppo Amal del presidente uscente Nabih Berri hanno mantenuto i consensi per replicare i 27 seggi che spettano agli sciiti. La sconfitta nelle urne è, invece, del Free patriotic movement (Fpm) del cristiano maronita Michel Aoun, presidente della Repubblica: dimezzata la rappresentanza parlamentare. E hanno perso il seggio anche il leader druso Talal Arslan (ad Aley) e il sunnita Fausal Karame a Tripoli. Ma i risultati restituiscono due tendenze contrapposte. La vittoria di Forze Libanesi con 19 seggi squaderna un’inquietante conseguenza. È il partito di Samir Geagea, nemico giurato della Siria e dell’Iran. Era il comandante delle milizie cristiane nella guerra civile 1975-1990. Ha scontato undici anni di detenzione per i crimini commessi. Tornato in libertà nel 2005 si era alleato con il sunnita Saad Hariri, uscito di scena boicottando le urne… Di ben altro tenore il clamoroso successo dei murashahin althawra, i “candidati della rivoluzione”. Come sintetizza l’attivista Rula El Halabi: «Informate le forze di sicurezza del Parlamento che i rivoluzionari del 17 ottobre 2019sono entrati in piazza Nejmeh, ma da deputati». Prima c’era solo Paula Yacoubian eletta a Beirut, adesso sono sedici volti nuovi, lontanissimi dal “giro” dei poteri corrotti, espressione del “nuovo Libano”. Per tutti Firas Hamdan, avvocato, trentenne, che nella circoscrizione Sud 3 si è imposto sul banchiere Marwan Kheireddine. Hamdan era in prima fila nelle proteste dopo l’esplosione nel porto di Beirut (200 morti, oltre 7 mila feriti e 300 mila sfollati). Bersaglio delle forze di sicurezza, operato al cuore, ha sfidato la coalizione di Governo in una delle sue roccaforti, senza lasciarsi intimidire da minacce e violenze. Ora sarà un bel rebus negoziare la maggioranza di governo. Nel 2018, si era trattato per oltre un anno. E oggi ha votato poco più del 40 per cento dei 4,5 milioni di residenti. A Beirut si allunga lo spettro del conflitto etnico religioso, mentre le zone di confine fibrillano fra macerie siriane e il conflitto con Tel Aviv. Per tutti i libanesi, un futuro nero: tasso di povertà all’80 per cento della popolazione; svalutazione a precipizio della lira; debito pubblico verso i 100 miliardi di dollari; code ai distributori di benzina; tagli alla rete elettrica; mancanza di medicine. Per di più il 90 per cento dell’import di grano e olio da cucina arrivava da Kiev e Mosca.
Resta l’eco dell’appello di Béchara Boutros Raï, patriarca maronita di Antiochia, nella solenne liturgia al santuario di Nostra Signora di Harissa alla vigilia del voto: «La maggioranza desidera vivere in un Libano libero, democratico e neutrale». E adesso il Libano aspetta la conferma della visita apostolica di papa Francesco.