Mosaico
E quando ci si trova di fronte al dolore indicibile, come quello della perdita di un figlio? Non sembra esserci risposta. Don Francesco Buono, parroco di Castel del Piano Santa Maria e moderatore dell’Unità pastorale di Pila-Castel del Piano della diocesi di Perugia-Città della Pieve, in “Va’, tuo figlio vive. Sentieri di speranza nel lutto” (San Paolo, 320 pagine, prefazione di Luigi Maria Epicoco, postfazione di Costanza Miriano) ci mostra una strada, forse l’unica, quella della condivisione della sofferenza e della consapevolezza dei limiti delle umane parole alla luce soprattutto del Vangelo.
La sua missione di parroco gli permette questa dolorosa possibilità in cui è impossibile rimanere semplicemente spettatori seppure legati da affetto e frequentazione, e leggendo questo libro, come scrive a commento finale Costanza Miriano, ci si rende conto che sono pagine di carne e lacrime. E non solo, però.
Perché proprio a causa del dolore empatico, del soffrire mentre se ne parla “anche piangendo”, come aggiunge Miriano, si arriva a vedere uno spiraglio attraverso il quale la Parola, e le parole umane, possano essere viva, tangibile condivisione e testimonianza di un valore salvifico fatto di condivisione e cammino nell’altrimenti indicibile.
Come narrano i Vangeli, ricorda don Francesco, nel dolore è difficile conservare i sensi e la ragione del prima: anche Maria di Magdala scambia il Risorto per il custode del giardino attorno al sepolcro.
Una delle possibili derive è quella dell’isolamento, di pensare, e questo non accade solo nel momento della perdita, che tutti ci abbiano abbandonato, che a nessuno stia a cuore il tunnel che stiamo attraversando senza sapere se arriveremo a rivedere le stelle. Cadendo nella tentazione di non credere più all’arrivo del Segno, all’ingresso divino quando non ce lo aspettiamo più. E non a caso nella parte finale del libro l’autore ricorda l’episodio giovanneo dell’importante funzionario di corte che si reca a Cana per implorare Gesù di accorrere al capezzale del figlio che sta morendo. L’uomo avrebbe desiderato che il Cristo assecondasse il suo desiderio di andare a casa sua a Cafarnao, mentre il Messia si limita a dirgli di tornare in quella casa, dove il figlio è tornato in piena salute.
Ecco uno dei sensi profondi di un libro che non parla solo dell’addio a persone care, ma anche della costruzione di un’immagine, quella delle nostre aspettative, che spesso non coincide con l’accadere. Non solo lutti e perdite, ma del dolore legato alle nostre fissazioni, come il tempo perduto, Il Piccolo Principe ce lo insegna, alla ricerca di qualcosa che o non esisteva nei modi che immaginavamo, o che non era affatto vera: “è il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”.
A volte siamo noi, dice don Francesco, che ci costruiamo idoli non esistenti e soffriamo proprio a causa della non esistenza reale di quei falsi dei.
E quando il dolore è reale e apparentemente inestinguibile? Si fa largo in questa narrazione di uno che è parte in causa di un universo chiamato condivisione abissale, la presenza, l’individuo ma anche la comunità, la possibilità di intravedere il Senso dietro la sua eclisse, grazie anche al camminare, anzi, a riprendere il cammino brutalmente interrotto, insieme.