Idee
Lavoro e dignità insieme. Lo sguardo di Maurizio Drezzadore, neo-presidente Acli Padova
Maurizio Drezzadore, neo-presidente Acli Padova: «Crescono gli occupati e i poveri a riprova del fatto che ci sono lavori malpagati»
Maurizio Drezzadore, neo-presidente Acli Padova: «Crescono gli occupati e i poveri a riprova del fatto che ci sono lavori malpagati»
«La necessità di uno sciopero generale francamente non si è vista. Quel che però sta sotto a questo sciopero è l’estrema difficoltà che si coglie nelle relazioni tra Governo e organizzazioni dei lavoratori. Se uno va a vedere i provvedimenti assunti nella Finanziaria non sono certamente entusiasmanti, ma difficilmente giustificherebbero uno sciopero generale». Così Maurizio Drezzadore, neo-presidente di Acli Padova, commenta la singolare contemporaneità, venerdì 29 novembre, tra l’avvio del congresso nazionale, sul tema “Il coraggio della pace”, e lo sciopero generale, proclamato da Cgil e Uil, contro la manovra del Governo Meloni. C’era anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accolto calorosamente, all’Auditorium della Conciliazione di Roma, all’inizio dei vostri lavori congressuali per gli 80 anni di fondazione. Qual è lo stato di salute del lavoro? «Parecchi decenni fa uno sciopero generale poteva anche far cadere il governo. Era un momento d’intensa conflittualità. Quello che può invece giustificare adesso un’azione di sciopero è la situazione di assoluta marginalità in cui il Governo tiene le forze sociali. Discutere di legge di bilancio dopo che è stata decisa è uno sgarro autenticamente rivolto ai sindacati, che evidentemente si fa fatica anche a digerire. Così io leggo la determinazione che è stata alla base di questo sciopero». Le Acli non sono un sindacato, ma hanno il lavoro come stella polare… «Il lavoro è al centro del nostro impegno fin dall’esordio. Il movimento del lavoro va rappresentato oggi su obiettivi che non sono quelli tradizionali del passato. Oggi il lavoro, con tutte le trasformazioni che ha introdotto, pone tutta una serie di domande di rappresentanza che restano in gran misura inevase. Pensiamo, per esempio, a tutto il lavoro povero. Una volta, conquistare un lavoro era magari più difficile di oggi, ma significava una stabilità economica e risorse sufficienti per garantire un futuro proprio e anche della propria famiglia. Oggi non è più così».Anche la precarietà incide significativamente su queste dinamiche. «Quello della precarietà è certo un aspetto che condiziona il reddito del lavoratore. Però noi abbiamo, soprattutto nell’area dei servizi, molti lavori che sono pagati in modo talmente inadeguato, da non essere in grado di garantire, né dal punto di vista economico, né dal punto di vista sociale e personale, chi esercita questa attività. Quindi c’è un pezzo di economia che si sottrae alla logica della dignità del lavoro. Come rispondere? Noi abbiamo sostenuto la strada del salario minimo, quindi che ci sia un provvedimento normativo, da parte del Governo e del Parlamento. L’altra strada è un potenziamento della contrattazione. Ma a certi livelli potenziare la contrattazione sarà un’impresa difficile. Non si capisce perché quegli stessi contratti che sono firmati dalle organizzazioni sindacali e che determinano delle condizioni di lavoro veramente difficili, perché si tratta sostanzialmente di settori poveri, dovrebbero migliorare automaticamente la propria disciplina contrattuale, migliorando le condizioni economiche».
Giorgia Meloni ha rivendicato alcuni “record storici” in tema occupazionale: mai così tanti posti di lavoro, mai così tanti contratti a tempo indeterminato, mai così tante donne occupate… «Che ci sia stato un aumento delle opportunità occupazionali con una crescita del tasso di occupazione è un record certificato dall’Istat, con oltre il 61 per cento di occupati, e rappresenta indubbiamente un risultato importante. Il dato va però commisurato al fatto che c’è anche un calo demografico. Quindi è vero che il lavoro cresce, ma è vero anche che le persone che si affacciano al mercato del lavoro, fisiologicamente, cominciano ora a calare. Una stima recente dice che nel 2040, se non ricorressimo all’immigrazione o al mantenimento in età lavorativa anche degli over 65, avremmo un saldo negativo di 3,5 milioni di persone in età lavorativa. Questo dato ovviamente incrementa la percentuale dei non occupati». Nel 2023 l’Istat ha certificato due milioni e mezzo di famiglie (quasi sei milioni di persone) che vivono una condizione di povertà assoluta. «Esattamente. Questo indicatore completa il ragionamento che facevamo. Nonostante l’occupazione cresca, cresce anche la povertà. Mai visto un andamento di questo genere. Nel passato noi avevamo un andamento contrario: cioè la povertà aumentava quando il lavoro diminuiva. Adesso abbiamo invece una crescita parallela delle opportunità occupazionali e anche della povertà. A riprova del fatto che ci sono lavori malpagati, che non generano sufficiente reddito per vivere una vita sufficientemente dignitosa». Il Veneto vanta una condizione migliore rispetto alla media nazionale? «Noi abbiamo decisamente una condizione migliore. Siamo due punti sotto la media nella disoccupazione rispetto al tasso nazionale e abbiamo un mercato del lavoro molto dinamico. Mediamente le figure professionali qualificate in pochi mesi entrano nel mercato del lavoro e trovano occupazione. Il mercato del lavoro veneto è caratterizzato da una forte mobilità, il che vuol dire che chi ha competenze in settori produttivi ben individuati è conteso da altre aziende e quindi può passare facilmente da un lavoro a un altro con condizioni remunerative più interessanti o con maggiore vicinanza a casa o con modalità di lavoro a distanza. Quindi con tanti requisiti che danno più soddisfazione al lavoratore. Questa situazione la si trova anche in altre Regioni come la Lombardia, l’Emilia-Romagna e, in parte, il Piemonte».
C’è bisogno che i cattolici si facciano sentire di più nella società italiana? «Il sociale può diventare uno strumento attraverso il quale la Chiesa parla al mondo che oggi non frequenta le messe domenicali e non popola gli oratori. Una presenza delle associazioni cattoliche è sicuramente un fattore che veicola un nuovo rapporto e un allargamento della pratica dei valori cristiani. Ma non dobbiamo mai dimenticare quel senso educativo che è proprio dell’agire delle pastorali attente ai problemi del territorio. Nel prossimo programma quadriennale, che porteremo al consiglio provinciale delle Acli prima di Natale, abbiamo scritto che dobbiamo creare reti con l’intero associazionismo cattolico e dobbiamo agire in uno stretto rapporto non solo con la pastorale diocesana ma anche con la pastorale delle parrocchie». Insomma per le Acli c’è ancora tanto da fare in Italia e in Veneto. «Più che mai. Se in questi passati 80 anni, il nostro mestiere è stato essere fedeli al lavoro, alla Costituzione e alla Chiesa, oggi non ci possiamo più accontentare di essere fedeli alla Costituzione. Dobbiamo arginare gli attacchi contro la nostra Costituzione. È un rischio reale che, per la presunta volontà di affermazione di programmi politici di parte, si vada a metter mano alla Costituzione, modificandone profondamente lo spirito e i contenuti ideali dei nostri padri fondatori. Il premierato non è una modifica che sta nello spirito del testo della Costituzione repubblicana. Per le Acli è un impegno irrinunciabile difendere i principi del nostro patto costituzionale».
Un tempo, trovare un lavoro era un traguardo rassicurante. Oggi spesso non è più così. «Nell’ultimo ventennio i salari in Italia sono stati stabili – sottolinea Maurizio Drezzadore – negli ultimi anni hanno conosciuto un’erosione per l’inflazione, mentre negli altri Paesi europei sono cresciuti, in alcuni casi quasi del 30 per cento, in Germania e in Francia oltre il 20 per cento. La questione di fondo è che in Italia il lavoro è sottopagato rispetto al resto d’Europa, c’è una fetta di lavoro talmente povero da non generare autonomia economica».