Fatti
Le edicole riflesso dei tempi: il giornale è carta ingiallita?
In Italia cala il numero di copie dei quotidiani e con loro chiudono i giornalai. La crisi non ha risparmiato nemmeno Padova, ma la carta “salva” la nostra umanità
In Italia cala il numero di copie dei quotidiani e con loro chiudono i giornalai. La crisi non ha risparmiato nemmeno Padova, ma la carta “salva” la nostra umanità
Si prega sempre meno. Almeno stando al noto aforisma consegnato alla storia poco più di duecento anni fa dal massimo esponente dell’idealismo, il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Il quale, nella sua Fenomenologia dello spirito sosteneva che «la preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale». E Francis Gurry, direttore della World intellectual property organization (Wipo), agenzia delle Nazioni unite che ha sede a Ginevra, ora ci mette il carico: «Tra qualche anno non avremo più i vecchi giornali stampati come quelli di oggi. È nell’ordine delle cose. Secondo alcuni studi questo avverrà già nel 2040». Una previsione condivisa da Mark Thompson, amministratore delegato del New York Times, che prevede tra un paio di decenni un mondo post cartaceo. Previsioni, certo, apocalittiche. Ma i numeri, per il momento, non sono incoraggianti. Per la Federazione italiana editori giornali nel 2013 ogni giorno si vendevano nello Stivale quasi quattro milioni di quotidiani, letti da 22 milioni e mezzo di fruitori (quasi sei lettori per ogni copia). L’anno successivo, per l’Associazione stampatori italiana giornali (Asig), le copie erano scese a 3,4 milioni.
Per ridursi a 2,8 milioni nel 2016 e a 2,2 milioni nel 2017 (in abbinata però a 335 mila copie digitali). Media Hub, che monitora 16 quotidiani nazionali o pluriregionali, ha rilevato a gennaio 2021 1.100.866 copie vendute nel giorno medio; a dicembre sono diventate 1.022.052 (meno 6,98 per cento). I dati positivi, sul versante della carta, sembrano riguardare soltanto due dei tre quotidiani sportivi: in particolare la “rosea”, dopo il lungo lockdown, pare aver soddisfatto, con l’Europeo di calcio e le Olimpiadi, la fame di sport patita dagli appassionati nel primo anno della pandemia. Per quanto riguarda il Veneto, una rilevazione di Accertamenti diffusione stampa (Ads), rilanciata da Veneto economia, certificava già nel 2015 un calo delle vendite dei quotidiani, fra il marzo 2005 e il marzo 2015, pari al 31,4 per cento. Il che significa, in termini assoluti, meno 93 mila copie (da 292 a 199 mila). I dati della Federazione nazionale giornalai di Confesercenti attestano che negli ultimi quindici anni, a livello nazionale, hanno chiuso più di 11 mila punti vendita (su 37 mila). Il primo anno della pandemia, poi, ha influito in maniera significativa sulla fruizione della stampa da parte dei lettori: sono aumentate del 42 per cento le copie dei quotidiani diffuse attraverso il digitale; del 56 per cento quelle dei settimanali; del 64 per cento quelle dei mensili.
Onore al merito, dunque, alle settemila edicole di strada che resistono (e che magari si reinventano come punto per l’erogazione di vari servizi ai cittadini-utenti). Ma va detto che anche nell’area centrale di Padova la crisi non ha risparmiato numerosi chioschi. Un tempo, chi accedeva alla stazione ferroviaria poteva scegliere tra l’edicola collocata a ridosso del binario e quella a fianco della biglietteria. La prima è diventata un negozio di filati mentre la seconda, dopo un lungo periodo di chiusura, sta per riaprire e per questo – come recita il cartello affisso sulla porta – è alla ricerca di personale. Nel frattempo funziona un solo punto vendita, vicino al binario 1, tra i negozi sorti nell’ambito del programma Centostazioni. Due sono invece le edicole nel piazzale esterno della stazione: la prima si trova a pochi passi dalla fermata del tram, in direzione Arcella; l’altra – che un tempo era piazzata in prossimità della birreria Pedavena – si trova all’altro capo della diagonale, verso il Tempio della Pace, quasi ai piedi del grattacielo azzurro. Non c’è più invece il chiosco che, dopo aver stazionato all’ingresso dei Giardini dell’Arena, si era trasferito lungo corso del Popolo, all’incrocio con piazza De Gasperi: offriva anche tanti quotidiani stranieri. Un’agenzia che si occupa di consulenze immobiliari e ristrutturazioni edili ha preso il posto del punto vendita che funzionava in via Gozzi, lungo il porticato. Chi, poi, s’incammina verso via Porciglia non trova più l’edicola che sorgeva nello slargo tra il ponte intitolato al pianista e compositore Silvio Omizzolo e l’inizio di via Morgagni.
Il chiosco, che esibisce ancora l’insegna di un quotidiano, è diventato ora una sorta di bacheca per messaggi apocalittici: Ultima generazione ci informa che «l’Italia sarà presto un Paese inabitabile: abbiamo solo tre anni per cambiare rotta e salvarci». Chi un tempo era abituato a fare rifornimento di notizie nel chiosco piazzetta Colonna, lungo via Altinate, ora trova nella stessa area quattro sedili rossi che consentono di ammirare comodamente L’infinito, dell’artista Gianfranco Coccia. L’opera è stata donata al Comune di Padova, nel 2019, dall’avvocato Giovanni Giacomelli. E l’edicola? Fortunatamente ha traslocato nei locali a fianco: in vetrina anche giocattoli e bambole. In questo lungo elenco di punti vendita “defunti” va annoverato pure il chiosco che vendeva giornali e riviste tra via Eremitani e piazza Eremitani, a pochi passi dal conservatorio Pollini e a fianco dell’esattoria. All’ondata di chiusure non è riuscita a far fronte nemmeno l’edicola di piazza Garibaldi, che calamitava l’attenzione dei collezionisti con le banconote dei Paesi stranieri e le cartoline a doppio riflesso, con una sorta di effetto movimento. Ora lo spazio prospiciente è occupato dal plateatico di un caffè.
Chi un tempo usciva dalle poste centrali di corso Garibaldi o sbucava dal sottopasso della Stua aveva la possibilità d’imbattersi in un chiosco fornitissimo di riviste posizionato lungo largo Europa, proprio di fronte a quella che fino agli anni Ottanta era la sede di AssostampaPadova e l’ufficio di corrispondenza della Rai del Veneto. Non c’è più nemmeno l’edicola ubicata sul Listòn, all’inizio di via Oberdan, tra il Caffè Pedrocchi e palazzo Moroni, davanti all’angolo ingentilito dalla presenza di un fiorista. Ed è scomparsa, ahinoi, anche la rivendita di piazza delle Erbe, in prossimità della fontana. Ora quello spazio è occupato da alcuni parcheggi. All’elenco dei punti vendita che hanno chiuso occorre aggiungere pure il chiosco di via San Clemente, che proponeva quotidiani, riviste e figurine proprio di fronte alla farmacia. Tanti ricorderanno pure l’edicola di piazza Capitaniato: il chiosco si è trasformato in bacheca per papiri di laurea (il Liviano sorge di fronte) e per volantini anti-caccia. Allargando il perimetro della nostra ricognizione, va ricordata inoltre l’edicola (ben lucchettata) al civico 57 di piazzale Mazzini, nelle vicinanze dell’incrocio con via Giotto.
È simmetrica a un chiosco, pure chiuso, dall’altra parte della strada, all’incrocio con via delle Palme. Non esiste più nemmeno il punto vendita di via Roma, quasi all’angolo con via Marsala. Anche qui sono arrivati tavolini per gli spritz. Chi un tempo andava in visita all’ex Cto, poi ospedale Sant’Antonio di via Facciolati, aveva la possibilità di comprare un quotidiano o un settimanale da portare al congiunto ricoverato. Che ora s’informa sul cellulare. E per fortuna, dopo due anni di chiusura, nel settembre 2020 ha riaperto l’edicola all’interno dell’ospedale di via Giustiniani, tra Monoblocco e Policlinico. Un’edicola sorgeva in piazzale Pontecorvo. Ma è già davvero tutto scritto, già tutto deciso? I giornali di carta dovranno inesorabilmente sparire? In una relazione tenuta nell’agosto 2018 al Meeting di Rimini l’inviato di Tempi, Rodolfo Casadei sosteneva che «salvare e promuovere la carta stampata è una vera e propria missione di civiltà, un atto d’amore per il prossimo, una questione di igiene mentale, è una giusta battaglia culturale e antropologica». E ancora: «All’informazione digitale si accede senza usare l’intera mano, ma semplicemente pigiando con le dita sui tasti. Sembra una differenza da niente, e invece è fondamentale. Il giornale è un oggetto che ci sta di fronte, che ci oppone resistenza. Richiede l’uso del pollice opponibile della nostra mano per essere sfogliato, richiede cioè ciò che fa dell’uso della mano una mano umana. Lo schermo della comunicazione digitale, invece, oppone una resistenza minima: basta premere con un dito, o strisciare con un dito, e il passaggio dall’intenzione della volontà alla realizzazione della volontà è istantaneo». Insomma, il giornale di carta contribuisce a salvare la nostra umanità. Un po’ come la differenza tra scrivere una cartolina e mandare una mail.
La parola deriva dal latino aedicula, diminutivo di aedes “locale con focolare, appartamento” e successivamente “tempio”. Un percorso semantico che parte dal focolare, passa da un’architettura sacra e arriva al giornalaio.