Fatti
Quando il 17 ottobre il Consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge di bilancio, la manovra è stata concordemente definita “leggera”. Nelle stime dello stesso esecutivo l’impatto sulla crescita veniva calcolato come praticamente nullo. I più maliziosi hanno sin da allora ipotizzato che il governo si fosse tenuto le carte di maggior rilievo per la manovra del 2027, anno di elezioni (salvo imprevisti).
Restava comunque l’incognita del percorso parlamentare. Alla fine degli anni Ottanta è stata introdotta la sessione di bilancio con l’intento di razionalizzare i passaggi che entro il 31 dicembre devono portare all’approvazione del piano di finanza pubblica. Ma nel tempo gli effetti non sono stati quelli sperati e sono ormai anni che la legge di bilancio viene di fatto esaminata, a turno, da un solo ramo del Parlamento (l’altro si limita a ratificare) e in dirittura d’arrivo la situazione si sblocca sistematicamente con un intervento diretto del governo che riscrive larghe parti della manovra attraverso un maxiemendamento, per di più blindato con l’apposizione della questione di fiducia. Quest’anno si poteva forse immaginare, pur con una certa dose di ottimismo, che una legge di bilancio meno impegnativa almeno nei saldi complessivi potesse avere una navigazione più ordinata e rispettosa dei ruoli di esecutivo e Parlamento. Ma così non è stato, anzi, i maxiemendamenti sono stati addirittura due – uno ha corretto l’altro – e delle giravolte si è perso il conto. Sulle pensioni la maggioranza è andata proprio in tilt, con uno scontro che ha visto la Lega minacciare apertamente un voto in dissenso e con le opposizioni subito pronte a infilarsi nella crepa.
Al di là della bagarre nella coalizione di governo, le ragioni di quanto è successo sono da ricondurre ad almeno due elementi strutturali. Il primo è collegato all’andamento generale dell’economia, che langue in buona parte del contesto europeo e che in Italia stenta particolarmente, nonostante le prestazioni dell’export e i lusinghieri, per quanto controversi (lo vedremo più avanti), risultati dell’occupazione. Dal mondo delle imprese è venuta una pressante e allarmata richiesta di stimoli per la crescita, tenuto anche conto che dall’agosto del prossimo anno non potremo più contare sull’apporto del piano straordinario europeo. Il governo ha risposto mettendo sul tavolo uno stanziamento di 3,5 miliardi per le imprese, ma per far questo è andato a toccare il nervo scoperto delle pensioni. E qui siamo al secondo elemento strutturale. L’equilibrio del nostro sistema previdenziale è fortemente condizionato dai dati demografici. La tanto vituperata legge Fornero ha consentito al sistema di reggere ed è anche alla radice dei risultati occupazionali che toccano livelli record soprattutto per la permanenza al lavoro della fascia over 50. Ma in prospettiva è semplicemente impensabile mettere mano a una riforma previdenziale che abbassi l’età pensionabile. Il che va direttamente in rotta di collisione con le promesse elettorali, soprattutto della Lega.
Giorgia Meloni, peraltro, in queste settimane è stata inevitabilmente assorbita dagli impegni sul fronte europeo e questo ha pesato in modo evidente nella gestione della crisi sulla manovra. Anche perché i vicepremier sono alle prese con problemi di leadership all’interno dei rispettivi partiti e difendono le posizioni senza fare sconti.