Fatti
Ma la Lega in Veneto non è quella di Salvini
Zaia punta alla regione “autonoma” d’Europa, non a una nuova marcia su Roma
FattiZaia punta alla regione “autonoma” d’Europa, non a una nuova marcia su Roma
Una premessa e un paio di riflessioni sulla Lega (non più Nord…) nelle urne delle Europee di maggio. Tanto per focalizzare bene il risultato numerico, bisogna tenere a mente la verità preliminare. Com’è stata perfettamente sintetizzata da Wu Ming (il collettivo di scrittori bolognesi) a beneficio del Palazzo: «Salvini ha il 19 per cento reale. Sono nove milioni di persone. In Italia siamo sessanta milioni. Il corpo elettorale attuale conta circa 51 milioni di persone. Salvini non ha con sé “gli italiani”. Anche se guadagna voti e ha il consenso di un elettore su cinque, rimane largamente minoritario».
Per di più, resta intatta l’anomalia selvaggia del Veneto. Con 1.234.361 voti la Lega ha sfiorato il 50 per cento dei consensi espressi. Tuttavia, sono sempre più di un milione in meno dei favorevoli al referendum sull’autonomia del 22 ottobre 2017 (2.273.985 per la precisione…). E non basta: il Veneto serbatoio elettorale di Salvini si rivela irriducibile alla prospettiva politica del Líder máximo.
Qui da noi la Liga è geneticamente diversa da Roma, quanto da via Bellerio a Milano. La “delega di rappresentanza” assomiglia a quella elargita alla Dc che sapeva mediare, sempre e comunque: niente a che fare con l’uomo in divisa, suggestionato dalla destra più o meno neo-fascista. Del resto, mentre il padovano Achille Tramarin fondava il 9 dicembre 1979 a Recoaro la Liga Veneta, il lombardo Umberto Bossi inseguiva il miraggio del «Melone» triestino di Manlio Cecovini.
In Veneto, Lega Nord non è mai stata sinonimo di “partito personale del premier”. Al contrario, fin dai tempi della Società filologica veneta il simbolo politico interpretava la proiezione di una comunità. Magari, con il sogno serenissimo di Bepìn Segato (il “Mandela del venetismo”) e il tanketo nell’assalto al campanile di San Marco. Ma sempre gente veneta che crede nell’indipendenza, perfino dentro la Padania con Venezia capitale; nel federalismo, tradotto a Nordest soprattutto con l’aggettivo fiscale; e infine si accontenta dell’ipotesi di autonomia alla trentina. Alla radice, c’è un’identità “linguistica” di chi disprezza il tricolore: a maggior ragione se indossato da Flavio Tosi sintonizzato con il presidente della Repubblica. E rispetto alla Chiesa, si sentono “cattolici del doge” che par tera e par mar sventolano il vessillo di San Marco…
Insomma, la vecchia Liga sembra ancora lo specchio del Veneto. Anche se la parabola è lunga ormai 40 anni. Con la Liga “di lotta e di governo” incarnata, se mai, da Luca Zaia. Il giovane seguace di Bossi eletto consigliere comunale a Godega di Sant’Urbano nel 1993. Il governatore che nelle Regionali 2015 raccoglie 427.363 voti con la sua lista, il primo partito del Veneto con ben 100 mila preferenze in più del Carroccio. Il perfetto alter ego di Matteo Salvini, perché Zaia conta di “rivoluzionare” il Veneto regione “autonoma” d’Europa. Non di assaltare palazzo Chigi con un’altra marcia su Roma…