Storie
Per oltre 70 anni di Maria Lazzari (1903-1945), si sapeva solo che non era riuscita a tornare dalla deportazione in Germania. Era considerata “dispersa”. È stata una donna coraggiosa che ha pagato con la vita la fedeltà ai suoi ideali. Risiedeva a Padova con la famiglia in via Marsala 12a, primogenita di Giuseppina Bertoni e Antonio Lazzari. Di condizioni agiate, la famiglia era composta da sei persone, oltre ai genitori e Maria, le tre sorelle: Parisina, Amelia, Omerina.
Con l’avvento del fascismo l’abitazione dei Lazzari, socialista fin dalla prima ora, entra subito in collisione. All’età di 16 anni Maria lavora come segretaria presso lo studio dell’avvocato Umberto Merlin. Nel 1928 si sposa a Padova con l’avvocato Giulio Pinori e va a vivere in Toscana, a Cascina, dove rimane fino al 1° luglio dell’anno seguente. Ebbe una figlia: Giuliana che sposerà il figlio di Gino Cervi (sì proprio l’attore della serie televisiva Peppone e don Camillo).
Durante la resistenza la famiglia Lazzari, a poche decine di metri dal ghetto ebraico, aiuta molti ebrei a fuggire o a nascondersi. Marcello Levi Minzi, della comunità ebraica, è fra questi. Fu tenuto nascosto per un certo tempo dalla famiglia Lazzari, assieme alla madre Clotilde di 78 anni. Sono persone che hanno la necessità di rendersi irreperibili. Levi Minzi, amico di famiglia dei Lazzari da molti anni, purtroppo non riesce a salvarsi. Arrestato e portato nel campo di concentramento di Vo’ Euganeo, viene deportato in Polonia e ucciso ad Auschwitz il giorno stesso del suo arrivo, il 31 luglio 1944.
A Padova si era costituita una rete clandestina organizzata da Armando Romani e padre Placido Cortese. Il primo, ufficiale ed ex pilota milanese, alle dirette dipendenze del console britannico di Lugano in Svizzera, il secondo, frate minore conventuale della basilica del Santo, collaborava favorendo la fuga di quanti avevano bisogno del suo aiuto. L’8 ottobre il francescano conventuale, tradito da una spia, viene arrestato con l’inganno e portato a Trieste nel bunker di piazza Oberdan dove, sottoposto a tortura, non si arrende e non tradisce rivelando i nomi dei suoi collaboratori. Maria Lazzari, deportata a Trieste, lo riconosce in una cella del carcere, prima che venisse ucciso.
I sentimenti antifascisti della famiglia Lazzari erano noti alle autorità fasciste. Già dalla fine del 1943 Maria risulta schedata presso l’ufficio politico della Questura. Nella primavera del ’44 viene arrestata e interrogata presso il comando delle SS di via Diaz. Subisce un secondo arresto il 16 settembre 1944. Viene trasferita al carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia e poi a Trieste. Singolare la motivazione dell’arresto: “M. P. S.” (Motivi di pubblica sicurezza).
Nei primi giorni di gennaio del 1945 arriva l’ordine di partire per la Germania anche per Maria Lazzari. Pare che un ufficiale tedesco si fosse invaghito della donna e le avesse garantito la libertà facendola fuggire, se fosse stata disponibile a intraprendere una relazione. Maria rifiuta per non mettere in pericolo i parenti che aveva a Trieste.
Consapevole di andare incontro a un ignoto destino, Maria stipata sul carro bestiame che la sta portando in Germania, il 10 gennaio 1945, riesce a scrivere e a gettare fuori dal treno una lettera indirizzata alla sorella: «Cara Parisina, sono per partire campo di concentramento: Dio mi aiuti. Spero poter aver forza e lottare. Ho gran pensiero per voi, per i bombardamenti, Dio ci aiuti tutti. […] Scrivo in fretta in una grande confusione non ho gran tempo, dirai alla mamma il mio gran ricordo, il mio grande affetto, il mio gran dolore, il babbo è sempre davanti ai miei occhi». Il testo ostenta fiducia di poter tornare a casa («tornerò certo», «tornerò ad abbracciare tutti voi miei carissimi»), ma se non fosse, rivolgendosi alla sorella “Pereso”, Maria si preoccupa per la figlia Giuliana (Giuggi) e la raccomanda alla sorella perché finisca gli studi.
Nel gennaio del ’45 Maria arriva al lager di Ravensbrück quando il campo è nel caos più totale ed estremamente popolato. Ospitava principalmente donne e bambini da utilizzare nelle fabbriche. Il lavoro estenuante in fabbrica, la mancanza di riposo e di sonno, l’alimentazione insufficiente e il freddo distruggevano rapidamente le energie di queste donne schiavizzate. Tuttavia la Lazzari riesce a sopravvivere.
Quando il 30 aprile il campo viene liberato dai sovietici del fronte bielorusso, lei è già stata trasferita a Bergen-Belsen. Le condizioni di vita di questo lager erano pessime. La mancanza d’acqua era tale che i prigionieri morivano di sete e furono persino spinti al cannibalismo. Maria Lazzari, sopravvive anche alla “marcia della morte”, indebolita, non tarda però ad ammalarsi di tifo. Muore pochi giorni prima della liberazione del campo da parte degli inglesi avvenuta il 15 aprile 1945.
Il diario ritrovato
Se non fosse stato per l’Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia – di Padova che, negli anni Settanta del secolo scorso, la segnalò alla sezione omologa di Dolo come donna meritevole della intitolazione di una scuola superiore – l’istituto tecnico statale “Maria Lazzari” – molto probabilmente sarebbe finita nel novero interminabile dei nomi inghiottiti dalla guerra, utili solo per una contabilità numerica, ma privi di una qualsiasi identità propria. Ora è possibile conoscere il suo pensiero, i suoi sentimenti, le sue idee potendo leggere direttamente le sue parole dal diario intitolato Lettere all’amica (1912-1931), pubblicato da Tracciati editore (pp. 184, euro 18). Il merito principale di questo documento va attribuito alla sorella Parisina che prima di morire nel 1987, è riuscita a dattiloscrivere quanto Maria Lazzari aveva scritto in forma diaristica in alcuni fogli. Il diario è composto da 190 cartelle. La donna denota cultura, analisi, proprietà di linguaggio e conoscenze varie. Buona la padronanza lessicale e capacità introspettiva. È attenta alle sfumature dei sentimenti. Riflette bene il clima politico e sociale che si viveva a Padova alla vigilia della Grande guerra, quando l’opinione pubblica era
divisa fra interventisti e neutralisti. Il panico e la paura diffusi negli abitanti del centro storico durante i bombardamenti austriaci, lo stato dei profughi costretti a spostarsi da una città all’altra. Ma è sul piano personale, esistenziale
e affettivo che Maria Lazzari dà il meglio di sé.
A 80 anni dalla sua morte, il diario lumeggia la figura di una donna dimostrando tutto il merito che si può riconoscere a un Giusto delle nazioni, (Comune di Padova nel 2013), che non ha girato la testa da un’altra parte quando le circostanze della vita richiesero tutto il coraggio possibile per salvare delle vite umane.
Anno 1915. «Dal 24 maggio siamo in guerra, gli studenti hanno fatto tante dimostrazioni che finalmente hanno vinto ed ora vanno alla guerra. Penso spesso ai nemici che non posso vedere, vedo invece i soldati che partono, molti soldati passano spesso con la musica in testa, la loro vista mi sconvolge addirittura a volte mi debbo aggrappare alle tende della finestra da cui li guardo, tanto mi sento turbata. Non è che abbia paura, soltanto mi fa soffrire. Che cosa strana e terribile marciare contro i nemici!» (Maria Lazzari, Diario).
Il diario di Maria Lazzari viene presentato a Padova lunedì 15 dicembre alle ore 17.30 presso il Comune di Padova nella sala Paladin. Saranno presenti lo scrittore Corrado Pinosio e il curatore Patrizio Zanella.