Medici di famiglia dipendenti e non più liberi professionisti in convenzione con il Sistema sanitario nazionale (Ssn). È la proposta di cui si sta discutendo in questi giorni dopo l’annuncio del ministro della salute Orazio Schillaci. La riforma – che potrebbe essere varata tramite decreto – avrebbe come scopo quello di tutelare maggiormente i professionisti grazie ai diritti che il rapporto di lavoro dipendente garantisce come orario definito, ferie, permessi, maternità, malattia ecc. Accanto a questo cambiamento si andrebbe a prevedere un certo numero di ore da prestare nelle nuove Case di comunità, in funzione del numero di assistiti assegnati a ciascun medico di base. Se sulla carta la riforma sembra andare nella direzione di migliorare le condizioni di lavoro dei camici bianchi, la realtà è molto diversa a sentire i diretti interessati. Fortemente contraria è, per esempio, la Fimmg, la Federazione italiana medici medicina generale, come spiega il segretario veneto Giuseppe Palmisano: «Si sta spostando il problema, ma il tema non è mettere in discussione lo status del medico di medicina generale che, invece, è ben chiaro a partire dalla legge 833 del 1978. La peculiarità del nostro sistema, che è un punto di forza, è il rapporto fiduciario e diretto tra dottore e paziente che si instaura negli ambulatori di prossimità. La conoscenza reciproca è un vantaggio tanto per gli assistiti, che si fidano dei propri medici, quanto per il Ssn che risparmia in visite specialistiche non necessarie che potrebbero magari essere prescritte da dottori che non conoscono i pazienti, per escludere patologie più gravi». Ma questo è solo uno degli aspetti negativi della riforma ventilata dal Governo come aggiunge ancora Palmisano: «Un altro punto di forza dell’attuale sistema è la possibilità di gestione autonoma dei medici di base garantita dal loro stato di liberi professionisti – continua il segretario Fimmg – Il che vuol dire fare la cosa più giusta seguendo il principio dell’appropriatezza. Ciò si può continuare a garantire solo se non si impongono limiti e vincoli come quelli che deriverebbero da un rapporto di dipendenza. Oggi il medico di base – sebbene oberato di lavoro, e questo è il vero problema – può scegliere quante ore dedicare a visite domiciliari, quante stare in ambulatorio e quante occuparsi del back office. Se fosse dipendente sarebbe tutto imposto dal sistema». Secondo Palmisano, se fosse introdotta la possibilità di scelta ci sarebbe uno “spezzatino” della categoria, chi dipendente, chi libero professionista: «Certo, può darsi che magari i giovani medici che si trovano, appena terminata la formazione, con 1.500 assistiti da gestire dall’oggi al domani, possano pensare che essere dipendenti dia maggiori tutele; ma il punto è proprio non trovarci con così tanti pazienti per medico, e quindi riformare complessivamente il sistema in mondo da renderlo più attrattivo, lasciando inalterata l’autonomia che la libera professione garantisce». Il segretario veneto della Fimmg ha inoltre anticipato che la mobilitazione e le iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica proseguiranno e, in tal senso, uno spiraglio si è intravisto negli ultimi giorni quando la Federazione è stata convocata in Regione per discutere delle questioni aperte.
Di opinioni simili è anche Filippo Crimì, presidente dell’Ordine dei medici di Padova: «Diciamo che questa proposta non è ancora dettagliata quindi bisogna vedere. Si potrà scegliere? Saranno strade parallele quelle di chi lavorerà nelle Case di comunità e chi negli ambulatori, o alternative? Certo, se fossero assunti nuovi medici ad hoc per le Case sarebbe un grosso costo per il Ssn, davvero lo faranno? Non è chiaro. Inoltre il tema vero è lo scarso appeal che ha la professione del medico di famiglia per i giovani neolaureati. Perché dermatologi, oculisti, chirurghi plastici ci sono mentre medici di base no? È evidente che qualcosa non funziona». Secondo il rapporto Censis-FnomCeo diffuso a marzo, i medici con più di 1.500 assistiti nel 2023 erano meno del 16 per cento mentre nel 2003 erano il 51 per cento. Nella provincia di Padova, inoltre, ci sono 400 aree carenti e si sono dimessi poco più di venti colleghi. Il corso di formazione specifico di medicina generale in Veneto ha visto nel triennio 2024-27 cento iscritti per 248 borse, meno della metà del periodo 2021-2024. «Oltre al grande numero di assistiti per medico, l’altro grande problema è l’eccesso di burocrazia che i colleghi si trovano ad affrontare – conclude il presidente dell’Ordine dei medici di Padova – Tutto questo porta ad allontanarsi dalla professione per fare altro. Infine, consideriamo che se i medici di famiglia fossero dipendenti, a fine turno sarebbero sostituiti da altri colleghi, perdendo così il rapporto fiduciario con l’assistito che troverà un dottore diverso in base all’orario. Serve, invece, una riforma del sistema».
A marzo, la Fondazione Gimbe ha presentato un rapporto sullo stato dei medici di famiglia: tenendo in considerazione il rapporto ottimale pari a un medico ogni 1.200 assistiti, in Veneto mancherebbero 785 professionisti. Ogni medico di base potrebbe avere al massimo 1.500 assistiti, un tetto superato da molti medici in dieci Regioni, in Veneto siamo al 68,7 per cento.
Già proposta nel 2021, la riforma torna al centro con un piano in dieci punti promosso dalle Regioni. Obiettivo: superare l’attuale convenzionamento, rendendo possibile l’assunzione dei medici come dirigenti del Ssn. Tra le misure: trasformare il corso regionale in specializzazione universitaria, definire standard nazionali per organici e risorse, consentire reclutamenti flessibili, prevedere un regime transitorio, modificare il Dpr 483/1997, facilitare il passaggio, valorizzare le competenze, introdurre l’accreditamento, fissare obblighi normativi e garantire la copertura economica.