Storie
L’ ospedale di North Kinangop, in Kenya, è il perfetto esempio di come ci si prende cura di migliaia di malati, fornendo assistenza sanitaria all’avanguardia e vincendo la sfida della sostenibilità economica. Proprio la parola sostenibilità è il concetto attorno al quale si fonda tutta l’attività dell’ospedale. Tutta la struttura sanitaria di North Kinangop – che fornisce eccellenti servizi alla popolazione locale in un Paese dove le migliori prestazioni si possono ottenere solamente in ospedali che necessitano di salatissime assicurazioni private in pieno stile anglosassone – ha una missione precisa: mantenersi da sola non contando su aiuti esterni che pure, in misura minore, arrivano. Tutto ciò che ruota attorno a una comunità (artigianato, allevamento, agricoltura, edilizia, autotrasporti, istruzione e mutuo soccorso) è stata la leva vincente che ha permesso la riuscita di un’idea di economia attenta all’essere umano inteso sia come paziente che come lavoratore dell’ospedale. North Kinangop rappresenta al meglio l’intraprendenza italiana coniugata alle caratteristiche africane. La zona in cui sorge l’ospedale dista 130 chilometri a nord di Nairobi ai piedi dell’Aberdare National Park (un parco africano ancora poco frequentato rispetto ai più celebri Masai Mara o Tsavo) e la storia comincia nel 1965, quando la Diocesi di Nyeru decide di acquistare un terreno ove costruire un dispensario che diventa immediatamente punto di riferimento per la popolazione locale che fino ad allora, per le cure, si affidava a tradizioni e credenze locali (il più delle volte dannose) o nei casi più gravi era costretta a spostarsi a Nairobi. Visto il successo dell’iniziativa l’idea della Diocesi di Padova, per dare continuità e miglioramenti all’attività, è di inviare, nel 1966, un dinamico missionario italiano, don Giovanni Della Longa, il cui compito è garantire un futuro alla struttura senza pesare sulle casse diocesane, cercando di creare un sistema che integri lo sviluppo economico e quello sanitario. Acquista così questi sette ettari di terreno. Osservando bene il territorio don Giovanni intuisce le potenzialità dell’area che, sorgendo a 2.500 metri di altezza con ottime condizioni climatiche, fa ben promettere per quanto riguarda la produzione agricola e l’allevamento. La zona ha infatti abbondanti precipitazioni per alcuni periodi dell’anno e un terreno particolarmente ricco. Nascono così i primi pascoli e allevamenti di bovini, ovini, maiali e pollame e il terreno comincia a dare i primi frutti. Lo stato di salute degli animali è continuamente monitorato da veterinari e i terreni hanno avuto il controllo e la consulenza di periti agrari. Ortaggi, latte e carne servono da nutrimento a pazienti e personale e l’ulteriore iniziativa di un progetto di silvicoltura che occupa una parte di terreno permette all’ospedale di avere il riscaldamento e costruire nuovi fabbricati. L’ospedale diventa energeticamente autonomo. Nel frattempo l’attività sanitaria cresce fino a contare 220 posti letto. I reparti vengono costruiti man mano che se ne presenta la necessità, rendendo l’ospedale, anche dal punto di vista architettonico, ben inserito nell’ambiente circostante grazie alla sua estensione a un unico piano. Il personale, fra medici, amministrativi, infermieri e tecnici di laboratorio arriva a contare 200 unità. Le prestazioni ambulatoriali passano da 30 a 70 mila, con 9 mila ricoveri annui interessando quasi 80 mila pazienti, che vengono anche da molto lontano. L’ospedale diventa punto di riferimento per i 350 mila abitanti della zona. Per fare un esempio, se un parto in un’analoga struttura pubblica costa circa 3 mila euro, a North Kinangop ne costa 70. Don Giovanni, purtroppo, nel 2004 viene a mancare e, per non disperdere il suo immenso lavoro, la Diocesi di Padova incarica don Sandro Borsa che rileva le attività affinandole in termini di organizzazione ed efficienza. Inoltre, grazie alla sua grande passione per la botanica, riesce a ottimizzare la produzione agricola e commerciare i prodotti anche all’esterno, di fatto aprendo nuove entrate economiche per l’ospedale. All’agricoltura e all’allevamento affianca il riciclo di rifiuti organici, un sistema di trattamento delle acque nere, laboratori e attività artigianali (falegnameria, carpenteria metallica, panificio, trasporti a mezzo camion, frantoio per ghiaia e fattoria). Non ultimo, per rafforzare il concetto di comunità, comincia a costruire case e servizi per il personale e le loro famiglie sempre all’interno del compound, compresi asili e scuole e praticando una politica di prezzi calmierati dei prodotti della campagna. Sempre attento alla formazione del personale don Sandro gestisce anche il servizio italiano e internazionale di volontari che permette al personale locale un continuo aggiornamento in ambito sanitario. Sono infatti numerosi i medici e infermieri italiani che prestano il loro tempo per alcune settimane al servizio dell’ospedale e dell’attività formativa, collaborando nello stesso momento con il ministero di Nairobi, con l’obiettivo di investire anche sulla tecnologia, acquistando mezzi e macchinari per ottenere gli standard più alti possibili. L’ospedale è così diventato un’azienda con un bilancio di quattro milioni di euro l’anno, dove le voci di entrata sono sostanzialmente due: da un lato, il pagamento delle prestazioni da parte dei pazienti (in linea con il costo della vita locale) e la convenzione assicurativa con il governo; dall’altro, le attività della campagna, zootecniche e artigianali che puntano, oltre che al fabbisogno dell’ospedale, a fornire le sempre più incessanti richieste di materiale delle località turistiche della zona, come il lago di Naivasha e di Nakuru. Pur essendo un’attività di carità, solo il 10 per cento proviene da donazioni. La gestione ordinaria è coperta dalla suddetta convenzione assicurativa, quella straordinaria dai profitti delle attività economiche. Il risultato è la completa autonomia. All’esterno dell’ospedale un’altra economia ha preso forma. Lungo la strada polverosa o fangosa a seconda della stagione, al di fuori dei muri di cinta dell’ospedale la popolazione locale si è organizzata e ha aperto piccoli alberghi, negozi e un incessante sistema di trasporti che alterna moto, bus, auto e biciclette fino all’apertura di servizi di onoranze funebri. Oggi, l’ospedale si prepara al grande salto: il passaggio della gestione dai missionari e volontari stranieri alla popolazione locale. Come dice don Sandro: «Qui non siamo proprietari bensì coadiutori nel creare una struttura di servizio, che dovrà proseguire e mantenersi con regole e metodi locali. Sono dovuto “diminuire” io affinché crescano loro. Qualche difficoltà c’è, ma i risultati direi che sono ottimi».
Secondo le Nazioni Unite circa 4 keniani su 5 non ha accesso all’assicurazione privata sanitaria. Per un’apprezzabile prestazione si deve ricorrere al pagamento di costi proibitivi per la gran parte della popolazione e si può trovare solamente nelle strutture ospedaliere private di Nairobi e Mombasa. Gli ospedali pubblici, dal loro canto, sono spesso soggetti a incompetenza e corruzione e non sono sufficienti per coprire tutte le necessità degli abitanti del Paese. I pazienti, il più delle volte, sono costretti a pagare sottobanco per ricevere i più elementari servizi, come medicinali o posti letto in strutture che non presentano nemmeno le più elementari norme igieniche e il personale sanitario può contare 22 operatori ogni 10 mila abitanti. Per esempio, in caso di pericolo di vita, le strutture private possono rifiutare l’ammissione se non viene versato un congruo deposito, così come, in caso di dimissione, se il paziente non ha la possibilità di procedere al saldo, potrà essere sequestrato dalla struttura sanitaria fino ad avvenuto pagamento e, naturalmente, i giorni di permanenza forzata saranno aggiunti al conto complessivo.
Fotografo documentarista, i suoi lavori, realizzati in tutto il mondo, sono pubblicati nei più importanti magazines italiani e internazionali. Collabora con Ong per reportage editoriali in ambito cooperazione. Info: www.andreasignori.it