Non c’è stata la fuga nell’assegnazione del premio Nobel 2025 per la letteratura dalla lista probabilistica dei candidati: László Krasznahorkai, ungherese, classe 1954, uno dei più celebri scrittori contemporanei era infatti tra quelli ipotizzati, anche se non in posizione dominante. Quotato 6/1, l’autore di “Satantango”, “Melancolia della resistenza” e “Guerra e guerra”, solo per citare pochi titoli, non è certamente il campione dell’ottimismo: i suoi personaggi hanno pensieri, progetti, sogni che vanno in senso contrario ad una realtà che si rivela sempre altra, e questo è un elemento comune a molta della letteratura di tutte le latitudini e tempi. L’incapacità di trovare una direzione ostinata ma non contraria alla realtà lo accomuna ai sentieri imperscrutabili di Borges e Calvino, ma anche alle inascoltate domande di Kafka sul senso della vita.
Ma dietro c’è molto di più, ad esempio incontro-scontro con il mondo di Dostoevskij, che pone inquiete domande sul senso della vita stessa: un senso che il grande scrittore russo ha trovato nella fede, ma in un itinerario in cui il dolore e la redenzione sono roventi tracce del divino.
L’accademia di Svezia ha premiato Krasznahorkai perché nella sua opera, nonostante il sospetto dell’apocalisse, “riafferma il potere dell’arte”.
Nato a Gyula, il nuovo Nobel per la letteratura ha compiuto studi di giurisprudenza e di letteratura ungherese, e, prima di dedicarsi integralmente alla creazione letteraria, ha lavorato come giornalista. La sua scrittura risente della nuova modalità espressiva nata nel Novecento con Virginia Wolf e James Joyce, quel flusso di coscienza ininterrotto, fatto di frasi lunghissime e talvolta senza punteggiatura in grado di comunicare il continuo fluire del pensiero. Anche grazie alla filosofia di un pensatore come Bergson che sfidò il meccanicismo materialista per affermare la natura imperscrutabile di una esistenza non riducibile a rigidi calcoli e a leggi totalizzanti.
La scrittura di Krasznahorkai è stata paragonata infatti alla lava, e al suo fluire ininterrotto, proprio come, fatte le debite proporzioni, il flusso di coscienza che anche in Italia trovò un punto di consistenza in Italo Svevo.
L’attesa senza esito, l’isteria individuale e di massa, sono anche un avviso ai naviganti: noi. Perché senza l’umiltà di una ricerca che vada oltre la incomprensibile realtà, senza l’umile ammissione dei materiali limiti umani e la necessità di accogliere lo spirito nella vita che non è solo materia, non resta che la contemplazione della deriva.
Il Nobel a Krasznahorkai potrebbe essere letto anche come un chissà quanto inconscio riconoscimento dei limiti di un umano, direbbe Nietzsche, divenuto troppo, unicamente, umano.