Idee
“Mi metti un like?”, “Guarda quanti like ho avuto!”, “Perché hai messo quel like?”… Sono richieste e frasi oggi usuali, espressioni ricorrenti di un fenomeno però relativamente recente, massificato alla fine del primo decennio del Duemila da Facebook e, in seguito, dagli altri social network. Un gesto semplice, rapido, intuitivo, un click, un doppio tap e il gioco è fatto: è così che manifestiamo il nostro apprezzamento nei confronti di una immagine, o di un post pubblicato in rete. L’universo digitale è disseminato di Like o Mi Piace, tracce apparentemente “leggere” e innocue dei nostri pellegrinaggi virtuali.
Ma quanto pesa realmente questo “doppio tap” nella quotidianità degli utenti digitali? E che rilievo può assumere se l’utente è un adolescente?
Secondo ricercatori e antropologi il like è diventata la misura di un nuovo tipo di ricompensa sociale, un feedback positivo che può contribuire alla creazione, o al consolidamento di relazioni, e che è in grado persino di incidere sull’autostima del fruitore.
In adolescenza, periodo in cui le relazioni tra i pari sono molto intense, può essere particolarmente importante ricevere o mettere un like, la spinta motivazionale a dare feedback positivi agli altri rafforza i legami sociali.
Alcuni studi dimostrano che quando gli adolescenti ricevono molti “Mi Piace” ai post che pubblicano sul web, il Nucleo Accumbens e la corteccia prefrontale ventromediale del cervello si attivano: si tratta di zone che corrispondono al “circuito neurale della ricompensa”. Un meccanismo quest’ultimo che può sfociare in forme di dipendenza, rendendo questo tipo di gratificazioni irrinunciabili, o rendendole fondamentali nella costruzione della propria reputazione non solo virtuale.
I like possono anche influenzare in maniera pericolosa le risposte neurali e comportamentali dei giovani. Un’immagine che sui social riscuota approvazione, pur se eticamente discutibile, diventa una sorta di catalizzatore di altri “Mi piace”. La popolarità di una foto può alterare significativamente il modo in cui essa è percepita. Una quantità notevole di apprezzamenti virtuali genera una vera e propria “pressione” che, in alcuni casi, può diventare fuorviante, ad esempio quando rafforza comportamenti a rischio (come consumo di droghe, condotte scorrette…).
Qualche giorno fa una mamma ha scritto una lettera alla redazione un noto quotidiano, mettendo in evidenza un altro aspetto allarmante della “dipendenza” generata in alcuni adolescenti dai like: “Sono la mamma di una ragazza di sedici anni, e da un po’ di tempo mi sembra di non riconoscerla più. È bella, intelligente, sensibile, eppure il suo umore sembra dipendere da uno schermo, quello del cellulare. Ogni mattina, prima ancora di fare colazione, apre il telefono e controlla quanti ‘mi piace’ ha ricevuto durante la notte sui suoi social. Se sono tanti, sorride; se sono pochi, diventa cupa, taciturna. Io, da madre, mi sento impotente davanti a questo altalenare di emozioni, che non dipendono più dalla vita vera ma da qualcosa che accade dentro un’app”.
Come intervenire? La letteratura sulle strategie di contrasto è in rapida evoluzione e si diffondono indicazioni pragmatiche.
L’Unione Europea ha introdotto strumenti normativi (Digital Services Act e linee guida correlate) che chiedono maggiore protezione per i minori: questo quadro apre la strada a interventi obbligatori sulle pratiche di design delle piattaforme social che favoriscono la dipendenza. Funzioni come la possibilità di nascondere i conteggi dei like (opzione già disponibile su Instagram/Threads) mirano a ridurre la pressione sociale e la comparazione pubblica.
Si stanno inoltre diffondendo programmi di media literacy che insegnano agli utenti della rete a riconoscere gli effetti delle tecniche persuasive dei social (algoritmi, notifiche, meccaniche di ricompensa).
Strategie combinate – regolamentazione sensata, cambiamenti di design delle piattaforme, educazione digitale e interventi terapeutici mirati – possono dunque offrire una strada percorribile per ridurre i danni e promuovere un rapporto più sano tra i giovani e i social, ma bisogna agire in fretta.