Quanto sto per dire, dopo settimane di “papismo”, non è facile da dirsi e neppure da condividere. A bocce ferme, diciamo di aver assistito a un fenomeno mediatico, da parte dei social, senza precedenti. Dalla malattia del papa, alla sua morte e funerali. Il periodo di vuoto papale. E l’elezione e insediamento del nuovo pontefice. Tutto inanellato, e tutto rigorosamente in presa diretta. Un peso mediatico di tv e stampa, come mai si era verificato prima, sfociato in infinite dirette con trasmissioni d’ogni genere, tutte concentrate sul medesimo tema, con un prima, un durante e un dopo, usato all’infinito da opinionisti dell’ultima ora e generalisti. Come si è visto per il conclave, con il “toto-papa” e pronostici puntualmente smentiti dai fatti. Stavolta però si è sfiorata la saturazione mediatica, passando da un periodo storico in cui tutto il mondo religioso cattolico sembrava arrancare con la soglia del 10 per cento dei credenti che si dichiaravano praticanti, con gli stessi giovani sempre più scollati dalla Chiesa e con un corollario laico che sembrava snobbare il concetto religioso. Poi l’esplosione di un “papalismo” che puzza di eccesso di zelo, dall’olezzo di perbenismo politico. Non che i fatti fossero da sminuire, ma mai prima d’ora si era vista così tanta pressione mediatica sul Vaticano. Per qualcuno si tratta dell’effetto Bergoglio. Per altri, le cause sono diverse. Sta di fatto che anche con Leone XIV la morsa dei media sembra non voler mollare. Quasi un ritorno alla mitopoiesi, ovvero la necessità antropica di usare e creare miti, che i social sanno bene come far lievitare. Un “papismo” con una “mitologia” di strada, che non credo possano migliorare la religiosità e spiritualità generale. Con ancora il mondo mediatico che volteggia come avvoltoi sul Vaticano, ci sono a terra le parole del precedente papa che chiedeva di «non essere cristiani da pasticceria». E sappiamo che il troppo dolce, come in questo caso, può portare a una spiritualità diabetica, da evitare.