IdeeL’Università di Firenze e l’Università La Sapienza di Roma-Cirmpa hanno presentato una ricerca sul binomio “intelligenza artificiale” (AI) e “adolescenti”.
Dall’indagine emerge che due adolescenti su tre utilizzano applicazioni basate sull’intelligenza artificiale “generativa”, ossia quella in grado di creare online, in autonomia, contenuti di ogni tipo – scritti, immagini, audio, ecc… – partendo da semplici input da parte dell’utente. Ma in quale modo i giovani tendono a servirsi delle potenzialità dell’AI? In realtà, le nuove generazioni sarebbero propense a far lavorare la tecnologia al posto loro. C’è un testo, un riassunto, una relazione o una ricerca da produrre? Perché affannarsi a pianificare il compito, a cercare le idee e a scrivere? E quindi? Come intervenire a livello educativo? La domanda è urgente. I percorsi di educazione all’uso consapevole dei nuovi prodotti digitali avviati all’interno delle istituzioni scolastiche sono al momento solo parzialmente incisivi ed efficaci. I rischi insiti in un utilizzo sbilanciato e incosciente di questi strumenti restano, invece, piuttosto elevati. Lo spauracchio che più si agita è quello della privacy e della diffusione inconsapevole dei propri dati, seguito dalla possibilità che i giovani contribuiscano alla diffusione di notizie fake. Approcciarsi all’AI richiede una capacità di discernimento che, purtroppo, la maggioranza dei giovani utenti non possiede: ad esempio, appena il 27 per cento dice di conoscere il funzionamento del deep learning generativo, cioè il metodo che insegna ai computer a elaborare dati, ispirandosi al funzionamento del cervello umano. Per non parlare, poi, del tempo che questi strumenti così seduttivi sottraggono ai giovani, spesso in maniera improduttiva. Per il 40 per cento di essi l’utilizzo degli strumenti digitali si attesta dalle cinque ore al giorno in su. Ciò che al momento è ancora carente è un’attenta cura ai processi cognitivi e rielaborativi della mente umana. In questo la scuola potrebbe essere fondamentale, ma dovrebbe staccarsi definitivamente dai modelli di apprendimento mnemonici e nozionistici. Il vero antidoto agli inganni del web è lo sviluppo del pensiero critico che può essere incoraggiato e insegnato sui banchi scolastici, ma non attraverso una didattica puramente trasmissiva. Occorrono metodologie laboratoriali, maggiore fiducia e coinvolgimento dei giovani, serve aprire una strada alla “contaminazione” tra il vecchio sapere e il nuovo, cercando di porre le condizioni per un equilibrio fecondo.
