Storie
Trent’anni fa moriva padre David Maria Turoldo. Uomo di libertà e fedeltà
Trent’anni fa moriva padre David Maria Turoldo. «Voleva una Chiesa impegnata nella liberazione dei poveri, a tergere lacrime, soccorrere, servire»
Trent’anni fa moriva padre David Maria Turoldo. «Voleva una Chiesa impegnata nella liberazione dei poveri, a tergere lacrime, soccorrere, servire»
Quando partecipò a Verona, il 22 settembre 1991, alla quarta “Arena” promossa da Beati i costruttori di pace, David Maria Turoldo era consapevole di essere ormai consumato dal male: «Sapeva di non avere futuro – racconterà padre Ernesto Balducci che gli era vicino quel giorno e che certo non sapeva di essere anche lui al termine della sua esperienza terrena, a causa di un incidente stradale – Ma si era liberato di sé e respirava il mondo».
Morirà, David Maria Turoldo, il 6 febbraio 1992. Trent’anni fa. Respirare con il mondo era uno dei doni “esigenti” che 75 anni di vita avevano offerto a quel prete dal profilo tagliente e dallo sguardo magnetico, che era stato tante volte protagonista del suo tempo, pronto a rischiare per le proprie idee senza reticenze né paure. Una vita già iniziata “in prima linea” il 22 novembre 1916 in piena guerra mondiale, nel paese friulano di Coderno di Sedegliano. A 13 anni era arrivata la vocazione al sacerdozio, come donazione di sé a un Dio liberatore dell’umanità, e l’ingresso nella congregazione dei Servi di Maria conosciuta nel santuario della Madonna delle Grazie di Udine. Una scelta a cui fu fedele tutta la vita, nonostante i contrasti disciplinari nei momenti di maggiore tensione. La sua formazione sacerdotale avvenne tra Santa Maria del Cengio di Isola Vicentina, l’Istituto delle missioni dei Serviti a Monte Berico e a Venezia; con essa il precoce accostarsi alla poesia che gli fece scegliere il nome di David, il re poeta d’Israele.
Poi la formazione universitaria Milano, nel 1940, e la militanza nella Resistenza che per Turoldo fu, secondo le sue stesse parole, «la ricerca, il bisogno e l’attesa di un profondo rinnovamento spirituale», la speranza della rinascita politica ma anche civile, morale, religiosa di un popolo. Milano fu anche la prima palestra poetica e apostolica, un apprendistato intellettuale e pastorale condotto a contatto con i protagonisti più aperti del cattolicesimo del dopoguerra, impegnati a dare il loro contributo alla ricostruzione sociale e ideale d’Italia, da don Primo Mazzolari a Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati. Qui nacque la Corsia dei Servi, un centro culturale disposto a dialogare anche con i comunisti, benché su di loro pendesse la scomunica. E qui arrivarono i primi contrasti con la gerarchia e “l’esilio” a Innsbruck e Monaco, da cui tornò nel 1954 per stabilirsi a Firenze, la città di Giorgio La Pira e di Ernesto Balducci (di cui oltre al trentennale della morte nel 2022 si ricorda il centenario della nascita).
Inevitabilmente, padre Turoldo riprese ad appoggiare iniziative di rinnovamento ecclesiale e sociale poco gradite agli apparati gerarchici. Nuovo allontanamento, nel 1958, questa volta a Londra e in America, per rientrare negli anni Sessanta, gli anni del Concilio, e per effettuare l’ultimo trasferimento nella bergamasca Fontanella di Sotto il Monte, terra di papa Giovanni XXIII. Turoldo riunì qui una piccola fraternità, un Centro studi ecumenici in cui, testimonia Raniero La Valle, «presiedeva fiammeggianti liturgie in cui si cantavano i salmi che egli aveva tradotto in una lingua non morta e non volgare». «La vita di Turoldo – sintetizza un suo discepolo, predicatore e scrittore, padre Ermes Ronchi, friulano come lui, ora residente a Isola Vicentina – è stata un messaggio di libertà e fedeltà: libertà nei confronti delle istituzioni, anche ecclesiali, contro gli apparati, con il cuore acceso; ma anche tenace fedeltà nei confronti di quella che chiamava “la mia Chiesa”. Una Chiesa che voleva impegnata nella liberazione dei poveri, a tergere lacrime, soccorrere, servire».
«Per l’edizione del 1982 – ricorda Dino Scantamburlo, che al tempo era assessore alla cultura del Comune e che ha seguito la manifestazione poi come sindaco – con la scomparsa di Ugo Fasolo doveva essere trovato un nuovo presidente. Al tempo il giornalista Alberto Frasson, membro della giuria, collaborava con il Messaggero di sant’Antonio e su quella stessa testata teneva una rubrica fissa padre Turoldo, di cui conoscevamo la squisita sensibilità poetica su temi religiosi. Si offrì quindi di proporgli la presidenza e lui accettò. Da quella volta fino al 1990 fu sempre fedelissimo al premio, veniva alla cerimonia finale, l’8 dicembre, quando celebrava la messa nel Duomo di San Pietro, e alle riunioni preliminari. Noi andavamo a Fontanella di Sotto il Monte a portargli i testi in concorso. In breve la figura carismatica di padre Turoldo divenne di casa a Camposampiero, la sua presenza era ricercata da molti per il fascino della sua parola». Turoldo ha lasciato l’impronta di un autentico profeta, «un uomo – ricorda ancora Scantamburlo – libero da vincoli, sovrastrutture, incrostazioni. Un prete fedele alla Chiesa, nonostante le incomprensioni, e che viveva la sua fede con grande umanità, senza il timore di confrontarsi con il dubbio, con lo scandalo della sofferenza. Quando sono andato a trovarlo all’ospedale di Padova, dove era stato ricoverato negli ultimi tempi del suo male, l’ho visto combattere per cercare un senso al dolore, per poi rasserenarsi nella fiducia dell’abbraccio del Padre che ci accoglie e ci perdona».
Come presidente del premio di poesia religiosa era il più “laico” dei giurati: non ammetteva i toni devozionali e pietistici, per lui il fine della poesia, sapore del mondo, specchio dell’anima e del suo tempo, doveva essere solo il canto, esprimeva l’insopprimibile bisogno di cantare. Cercava e voleva una poesia che esprimesse la libertà e l’impegno dello spirito in ricerca, della speranza anche quando canta il dolore e la disperazione.
Le raccolte poetiche di Turoldo iniziano con Io non ho mani (1948) e si concludono con Mie notti con Qohelet (1992). «Turoldo – ha scritto Andrea Zanzotto – ha percepito da sempre la centralità della parola (…) come una delle sedi più alte in cui la parola (che cristianamente è il Verbo, “era ed è presso Dio”) verifica se stessa e il mondo».
La pandemia non ha impedito a molti di ricordare domenica 6 febbraio, pur senza troppi gesti esteriori, il 30° anniversario della morte di padre David Maria Turoldo, il servita friulano che si è fatto amare per la passione con cui professò la fede in parole e opere. Parole di fuoco delle sue prediche e delle sue poesie. Azioni coraggiose di solidarietà con i poveri del mondo.
L’infanzia povera, trascritta nel film Gli ultimi (1962, di cui scrisse il soggetto), insegnò al piccolo Giuseppe – questo il nome di battesimo – l’integrità morale e la dignitosa libertà del padre e la fede profonda della madre, ma anche la ribellione alla miseria.