“Una scintilla di speranza”: così Papa Leone XIV, all’Angelus, ha definito l’accordo sull’inizio del processo di pace tra israeliani e palestinesi, in questa domenica in cui si celebra il Giubileo della spiritualità mariana e in piazza San Pietro è presente la statua della Madonna di Fatima. Si rivolge alle “parti coinvolte” e chiede loro di proseguire “con coraggio il percorso tracciato, verso una pace giusta, duratura e rispettosa delle legittime aspirazioni del popolo israeliano e del popolo palestinese”. C’è tanta incertezza ma anche molta speranza dopo due anni di conflitto. Così il vescovo di Roma dice che questo tempo di odio e guerra ha “lasciato ovunque morte e macerie, soprattutto nel cuore di chi ha perso brutalmente i figli, i genitori, gli amici, ogni cosa. Con tutta la Chiesa sono vicino al vostro immenso dolore”.
Ma c’è un’altra guerra ancora più lunga per la quale al momento non ci sono scintille di speranza. In Ucraina ci sono stati nuovi “violenti attacchi” a città e infrastrutture civili che hanno provocato “la morte di persone innocenti, tra cui bambini, lasciando moltissime famiglie senza elettricità e riscaldamento”. Parla di sofferenze, di una popolazione “che da anni vive nell’angoscia e nella privazione”, e rinnova l’appello “a mettere fine alla violenza, a fermare la distruzione, ad aprirsi al dialogo e alla pace”.
Di pace il Papa aveva parlato anche la sera di sabato nella Veglia di preghiera e Rosario per la pace, chiedendo al Signore di disarmare “la mano e prima ancora il cuore”, perché la pace, ha affermato, è “disarmata e disarmante. Non è deterrenza, ma fratellanza; non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono”. Con accanto la statua della Madonna di Fatima, il Papa ha chiesto ai potenti del mondo di “mettere via la spada”; a quanti guidano le sorti dei popoli ha chiesto: “abbiate l’audacia del disarmo”. E a ciascuno di noi di essere “sempre più consapevoli che per nessuna idea, o fede, o politica noi possiamo uccidere”.
La Madonna di Fatima – ha ricordato il Pontefice – da oltre un secolo parla di pace al mondo: dalle apparizioni ai tre pastorelli nel 1917 fino al proiettile che San Giovanni Paolo II volle collocare nella corona della statua, a ricordo dell’attentato del 13 maggio 1981. La spiritualità mariana, ha affermato Papa Leone, “ci immerge nella storia su cui il cielo si è aperto, ci aiuta a vedere i superbi dispersi nei pensieri del loro cuore, i potenti rovesciati dai troni, i ricchi rimandati a mani vuote. Ci impegna a ricolmare di beni gli affamati, a innalzare gli umili, a ricordarci la misericordia di Dio”.
Soffermandosi sul Vangelo della domenica, il Papa ha richiamato l’episodio dei dieci lebbrosi guariti, dei quali solo uno – un samaritano, “straniero ed emarginato” – torna a ringraziare Gesù: “Ci ricordano che la grazia di Dio può raggiungerci e non trovare risposta, può guarirci e non coinvolgerci”. “Guardiamoci da quel salire al tempio che non ci mette alla sequela di Gesù”, ha ammonito Leone XIV, perché “esistono forme di culto che non ci legano agli altri e ci anestetizzano il cuore”. Il cammino cristiano, come quello di Maria, “è dietro a Gesù, e quello di Gesù è verso ogni essere umano, specialmente verso chi è povero, ferito, peccatore”.
“In questo mondo assetato di giustizia e di pace – ha concluso il Papa – teniamo viva la spiritualità cristiana, la devozione popolare a quei fatti e a quei luoghi che, benedetti da Dio, hanno cambiato per sempre la faccia della terra. Facciamone un motore di rinnovamento e di trasformazione, come chiede il Giubileo”. Con Maria, ha esortato infine, “torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, i quali non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti”.