Più coinvolgente di un falò di confronto a Temptation Island; più emozionante di una puntata di Sarabanda Show. Con buona pace delle hit di Annalisa, di Tananai e dei The Kolors, il vero tormentone dell’estate 2025 continua a essere il rimpallo, tra Venezia e Roma, delle decisioni che il centrodestra deve assumere in ordine alle elezioni regionali. Ad calendas
I lettori più attenti ricorderanno che già l’8 maggio il Consiglio di Stato aveva stabilito che le elezioni regionali devono svolgersi «entro il 20 novembre». Il 26 giugno l’emendamento della Lega Salvini Premier sul terzo mandato consecutivo dei “governatori” è stato bocciato dalla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama: cinque “sì” e 15 “no”. Il 21 luglio il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha escluso l’Election day (per Marche, Calabria, Campania, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto) e lo slittamento del voto alla primavera del 2026. In Valle d’Aosta si voterà il 28 settembre; nelle Marche il 28-29 settembre; in Toscana il 12-13 ottobre. Il Veneto è ancora in alto mare: possibili date il 16 o il 23 novembre.
Alberto da Borgoricco
Si chiude il quindicennio che ha visto Luca Zaia accomodato sullo scranno più alto di Palazzo Balbi. Il 20-21 settembre 2020 aveva stabilito il primato del presidente più gettonato, con il 76,79 per cento delle preferenze in virtù di 1.883.960 voti. L’ipotesi più accreditata vede il passaggio del testimone fra il governatore uscente e il segretario della Liga Veneta, il 32enne padovano Alberto Stefani, già sindaco di Borgoricco e deputato del collegio uninominale di Rovigo. Seggio che, in attesa di più rilevanti incarichi, verrebbe ereditato da Zaia nelle prossime elezioni suppletive insieme alla presidenza della commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale. A meno che nel frattempo non si liberi la poltrona di ministro del Turismo, con posto in prima fila ai Giochi di Milano-Cortina (al via il 6 febbraio). Nel ventaglio degli obiettivi pure la poltrona di sindaco di Venezia (però si vota a maggio 2026).
Il centrodestra
Ovviamente l’indicazione di Alberto Stefani, vicesegretario federale, deve ottenere in primis il via libera di Fratelli d’Italia, che alla poltrona di doge aveva fatto un pensierino, proponendo Raffaele Speranzon, vice-capogruppo a Palazzo Madama, o Luca De Carlo, coordinatore regionale di Fdi. Alle Europee del giugno 2024 il partito di Giorgia Meloni ha triplicato (con il 37,58 per cento) il consenso ottenuto dalla Lega (13,15per cento) e questo risultato dovrà pesare sulla ripartizione delle poltrone della prossima giunta. Se il Carroccio (in campo come Lega Salvini Premier o Lega Zaia?) avrà il presidente, dovrà accontentarsi in aggiunta di due assessorati di contorno; i referati della Sanità e delle Infrastrutture saranno assegnati ai meloniani (lanciatissimo il padovano Enoch Soranzo). Due poltrone (in un esecutivo con dieci nominati) andranno a Forza Italia. Con la sola eccezione di Francesco Calzavara, anche gli assessori leghisti (Elisa De Berti, Roberto Marcato, Gianpaolo Bottacin, Federico Caner, Cristiano Corazzari e Manuela Lanzarin), che hanno completato due mandati in giunta, stavolta potranno puntare solo a uno scranno da consigliere.
Lista Zaia
Un altro dei tormentoni dell’estate è rappresentato dalla sorte della lista Zaia Presidente, che nel 2020 era arrivata al 44,57 per cento (916.087 voti). I fedelissimi del governatore hanno a più riprese sostenuto l’opportunità di ripresentarla, per intercettare anche i voti di chi non si riconosce nel verbo leghista. «È una questione di rispetto e di sensibilità – ha affermato Luca Zaia – verso quella grande parte dell’elettorato che altrimenti rischia di non andare a votare perché non ha più chi interpreta il suo pensiero». Dopo le perplessità degli alleati, un “no” alla proposta è arrivato a sorpresa da Marcato (autocandidatosi alla presidenza del Veneto), giacché a suo dire la Lista Zaia rischierebbe di drenare il bacino di consensi della lista Lega-Liga.
Centristi
Della coalizione di centrodestra farà parte anche Forza Italia, che pure si è presentata al tavolo delle trattative mettendo sul tavolo, per la presidenza, il suo “asso” Flavio Tosi, eurodeputato e coordinatore regionale. Nel Veneziano i berlusconiani riproporranno Gianluca Forcolin, già vicepresidente del Veneto; a Padova vogliono fare incetta di preferenze Elisa Venturini e Fabrizio Boron; nel Veronese rispunta l’ex sottosegretario alla Salute Luca Coletto. Sarà della partita anche l’Udc, che il neo-segretario nazionale Antonio De Poli vuole riposizionare sullo scacchiere regionale. Noi Moderati di Maurizio Lupi ha raggiunto un accordo con Libertà Popolare degli ex Dc Luigi D’Agrò e Luciano Falcier.
Autonomisti e indipendentisti
La Liga Veneta Repubblica, presieduta da Fabrizio Comencini (vicepresidente del Corecom veneto), scende in campo con l’ex segretario regionale della Lega, Gianantonio Da Re, e potrebbe far parte della coalizione di centrodestra. Il direttivo di Indipendenza Veneta ha invece deciso di sostenere la candidatura a presidente del Veneto di Riccardo Szumski, medico di Santa Lucia di Piave, alfiere di Resistere Veneto. Neonata formazione alla quale ha offerto il proprio appoggio anche il Partito Popolare del Nord, di cui è leader il redivivo ex ministro leghista della Giustizia (dal 2001 al 2006) Roberto Castelli.
Lo sfidante Manildo
«Io mi candido alla presidenza del Veneto perché sento che questa volta è un percorso collettivo. Perché credo ci sia veramente la possibilità di cambiare. E la possibilità di cambiare non la fa uno solo, bensì un gruppo. Dobbiamo affrontare questa sfida con spirito garibaldino. Affrontiamola con forza, con decisione. Con la convinzione che è necessario cambiare delle cose che non ci vanno bene». Così il 26 luglio l’ex sindaco di Treviso, Giovanni Manildo, ha presentato la sua corsa alla testa del centrosinistra. Avvocato, 56 anni, padre di tre figli, trascorsi da scout, Manildo (soprannominato Panda) aveva sconfitto nel 2013 Giancarlo Gentilini; cinque anni dopo ha ceduto la fascia tricolore a Mario Conte. Gli tocca il non facile compito di risollevare le sorti di una coalizione che nel 2020, con Arturo Lorenzoni, era sprofondata al 15,72 per cento (386.768 voti).
Il centrosinistra
Dell’alleanza che sostiene Manildo, che non costituirà una lista personale, fanno parte il Partito Democratico, il Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi Sinistra (che ospiterà nelle sue liste i candidati di Veneto che Vogliamo), + Europa, il Partito Socialista Italiano, il Movimento Socialista Liberale, la Rete delle Civiche Progressiste, Volt Europa e Rifondazione comunista. Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi potrebbe allearsi per varare una civica. Per il Pd saranno in corsa, nel Padovano, la capogruppo Vanessa Camani, il vicesindaco della Città del Santo, Andrea Micalizzi, e la segretaria provinciale Sabrina Doni, ex prima cittadina di Rubano; nel Vicentino tenta il bis Chiara Luisetto; nella Marca ci prova Paolo Galeano, assessore al Bilancio e già sindaco di Preganziol; nel Veneziano sono in lizza l’uscente Jonathan Montanariello e la consigliera del capoluogo Monica Sambo. I pentastellati sceglieranno i loro candidati a fine agosto attraverso le Regionarie; alla consigliera chioggiotta Erika Baldin, che ha ultimato due mandati, serve la deroga di Giuseppe Conte.
Popolari per il Veneto
Potrebbe schierarsi ai nastri di partenza anche il partito dei Popolari per il Veneto-Ricostruire, pilotato dall’ex presidente della Provincia di Padova, Fabio Bui. Presidente di questo neonato movimento a carattere regionale è il professor Silvio Scanagatta.
Era il 29 marzo quando Luca Zaia vinse le elezioni ottenendo più del 60 per cento dei consensi, succedendo a Giancarlo Galan. L’insediamento ufficiale e l’inizio del suo mandato fu il 7 aprile successivo.
Zaia ha già fatto tre mandati consecutivi (2010 e poi confermato nel 2015 e nel 2020), e questo è stato possibile perché il Veneto ha applicato il limite dei due mandati nel 2012, con l’approvazione della legge elettorale regionale. Siccome la legge non può essere retroattiva il primo mandato di Zaia, quello tra il 2010 e il 2015, non è stato dunque conteggiato.