Seconda tappa del nostro viaggio nel cuore di una regione che nasconde indubbie potenzialità e coltiva ambizioni europee. Ma che non ha ancora saputo dare loro una forma compiuta. Antonio Gesualdi, giornalista e ricercatore, analizza le radici di una terra alla ricerca mai soddisfatta di una propria fisionomia.
Famiglie “complesse”, densità metropolitana, territorio da sempre storicamente conteso. È l’area vasta del Veneto fra il profilo di colli e monti, ma anche oltre l’acqua di laguna e dell’Adriatico. Un cuore pulsante “senza mezze misure” (come indica Alessandro Rosina della Cattolica di Milano) – eccessivamente povero o ricco – che tuttavia si manifesta sempre costante nella mappatura storico-demografica, politico-elettorale e perfino statistica.
Lo racconta Antonio Gesualdi, 56 anni, giornalista «che copia» da Ilvo Diamanti o dall’antropologo e politologo francese Emmanuel Todd. È autore di «cinque libri e mezzo» (per lui, un e-book vale mezzo volume a stampa) come Il Nuovo Nordest, Tu sarai leghista, leghista sarai tu, Un’altra Italia e Italiae. Continua imperterrito a compulsare cifre, grafici, tabelle, statistiche e ipotesi senza doversi preoccupare degli equilibri accademici né del marketing a senso unico.La prima riflessione a voce alta è dedicata alle caratteristiche della “cellula sociale” per antonomasia: la composizione dei nuclei familiari in un territorio determinato. Quello veneto è il segmento racchiuso dalle grandi arterie autostradali che intorno ai capoluoghi – da Treviso a Verona – si espande nelle città-satellite, da Montebelluna fino a Soave.
Chiosa Gesualdi, focalizzandosi sull’area centrale del Veneto: «Questo sistema produce periodi di ricchezze, quando le famiglie convivono, alternati a cedimenti strutturali quando i genitori muoiono. Un processo, appunto, “senza mezze misure”, che alterna organizzazione complessa e rigida a nuclearizzazione della famiglia. I portati valoriali di queste strutture familiari si riverberano nel tempo e quella veneta è tipicamente autoritaria, per la convivenza di più generazioni nella stessa casa, e inegualitaria per la preferenza di un figlio sugli altri, spesso il primogenito. Quella veneta, insomma, e soprattutto del Veneto centrale, non è una famiglia né liberal né cooperativa. Ma è la più tradizionale e socialmente organizzata. Sensibile al diverso. Solidale, ma non inclusiva. E anche la più esposta alla modernizzazione e quindi la più fragile nell’identità».
Gesualdi insiste nel tratteggiare peculiarità del “segmento veneto” rispetto al resto dell’Italia, per altro sottolineando subito precise affinità di natura europea:
Gesualdi insiste a scrutare oltre gli stereotipi. Mira piuttosto a far brillare, nelle pieghe di un’ampia zona nei confini regionali, il profilo che combacia addirittura con la Germania. È il Veneto con i piedi per terra, dentro l’orizzonte della pianura, con indicatori ben diversi dal Veneto montano e dal Veneto lagunare, entrambi ancora oggi pregni di storia di miti. «È il Veneto di terraferma. Il “Veneto da Tera” che rivendica identità perché, storicamente, ce l’ha soltanto in funzione di altri veneti. Ne ha una fortissima se guardiamo all’Europa, perché è simile al modello “ceppo” tedesco. Ma ne possiede invece una debolissima, o inesistente, se paragonata all’identità di Venezia o all’area montana bellunese, trentina e altoatesina».
Insomma, scorrendo tabelle di numeri e grafici “sociologici”, è innegabile che abbia «un corpo” l’idea della città infinita europea che vanta standard omogenei, conta su due atenei, nutre la sanità pubblica e coltiva un sistema di “futuro sostenibile». E ha anche un’anima, se accostata all’Europa austro-bavarese. Questa è la prospettiva che si svincola perfino dall’economia “cannibale” che per decenni ha divorato territorio e inquinato la vita. Se mai, questo Veneto terrestre punta a valorizzare le risorse fuori dai capannoni desertificati come a sviluppare produzioni naturali, turismo di nicchia e “manifatture bio”. «Ma serve uno stato che ne veda le potenzialità. Servono ancora tanti Gavino Sabadin (ben raccontato da Giorgio Roverato) che capiscano quanto è ancora importante e vitale superare la dicotomia Nord-Sud e quanto il Nordest è ancora il sud del Nord Europa» sostiene Gesualdi.
Un ultimo risvolto riguarda proprio l’orizzonte della rappresentanza per il “Veneto di terra” che guarda all’Europa. Secondo Gesualdi, il quadro è davvero più che evidente perché all’ideologia nuda e cruda al centro del Veneto si è sempre preferita la mediazione pragmatica, non solo degli interessi. Quasi come se la politica amministrativa della Dc fosse stata “ereditata” dal lighismo doroteo di Luca Zaia, capace di sussumere perfino il federalismo che aveva ispirato l’Ulivo di Massimo Cacciari.
Lo confermano i dati di affluenza al referendum di dicembre: «Non credo sia una semplice distinzione centro-periferie. È vero che Padova è la città dove si è votato meno e Laghi il paese con più affluenza. Ma in realtà è in tutta, e soltanto, l’area della Terraferma che si registrano picchi intorno al 70 per cento di partecipazione. È quel Veneto che non ha né la storia della Serenissima né quella della Montagna e rivendica un qualche cosa nei confronti dello stato italiano.
Non è una rivendicazione che tratta di denaro, ma proprio di identità. Un espediente per uscire dalla percezione di sudditanza. Insomma è… Trebaseleghe capitale mancata e “distrutta”. È una rivendicazione di identità, anche storica. E purtroppo, quel Veneto, ha poco cui aggrapparsi perché è sulla linea di confine tra mondo germanico e mondo romano. È un mondo di mezzo. Confine tra cattolicesimo e protestantesimo. E, si sa, quando si sta sui confini, si è sempre figli di nessuno. Sulle linee di confine sono sempre più numerosi i figli illegittimi. Servirebbero scelte di campo più definite perché per come sono messe le cose, anche per arrivare a Bruxelles o a Berlino, bisogna passare per lo stato-nazione. Vedi Scozia e Catalogna».
La città infinita europea, dunque, potrebbe essere il progetto degli anni Venti del Duemila. Più di un’idea suggestiva da coltivare… in pianura. Con l’ambizione di un ruolo da giocare, al di là degli ambiti perimetrati dalle velleità campanilistiche. E soprattutto con l’identità del Veneto già proiettata oltre la conservazione dello stato esistente. Insomma, una partita tutta aperta per non risvegliarsi nella serenissima immobilità e senza più interlocuzione con l’Italia, ma neppure con Bruxelles.
