Storie
Il 4 ottobre scorso, alla veneranda età di cento anni, è salito in cielo Celio Bottaro, ultimo partigiano padovano vivente, deportato in Germania durante la Seconda guerra mondiale.
Lo conobbi casualmente nove anni fa nella sua casa, a San Bellino, qualche mese dopo la morte della moglie Ada Bortolon, anche lei partigiana durante la guerra di liberazione. Doveva essere una breve visita di cortesia, giusto il tempo di prendere un caffè, e invece fu l’inizio di un’amicizia speciale, di quelle che, nella vita, si possono contare sulle dita di una mano. Mi parlò subito di Ada e del loro primo incontro nella sede del Pci, dove lavorava come volontario per l’assistenza postbellica dei partigiani e dei reduci di guerra. E mentre lo ascoltavo, nella cucina di casa sua, intravedevo i mobili del soggiorno ben coperti da lenzuola bianche, quasi come per custodire gelosamente i ricordi dei tanti anni trascorsi in quella stanza con la sua amata Ada.
Quando seppi che era stato in campo di concentramento, gli chiesi di poter tornare per ascoltare sin dall’inizio l’intera storia: la sua adesione al Fronte della gioventù comunista, la militanza nella Resistenza e la sua terribile esperienza nei lager tedeschi.
Renitente alla leva, durante la Resistenza comandava un gruppetto di giovani delle Sap (Squadre di azione patriottica) col nome di battaglia “Wladimiro”. «Facevamo atti di sabotaggio e di disturbo contro i tedeschi, come tagliare i fili del telefono o girare i cartelli stradali»: così iniziò il racconto, come se si trattasse di semplici bravate, ma in realtà, ricordando con precisione e semplicità, vicende ed episodi da far rabbrividire. «Trascrivevo a macchina volantini contro il regime che stampavo clandestinamente assieme a un ragazzo, ricercato come me dalle Brigate nere, in uno scantinato dietro la stazione ferroviaria»: il racconto continuava, come se fosse stato un nonnulla.
All’epoca, però, erano reati gravissimi, che prevedevano la pena di morte. Arrestato i primi di agosto del 1944, a causa di una delazione, venne processato a Piove di Sacco e condannato a 26 anni di detenzione. Lo stesso giorno fu arrestato anche Valerio Pennacchi “Bepi” (padre dell’attore e regista Andrea), anch’egli della Brigata garibaldina. In carcere, al Paolotti, conobbe Flavio Busonera, per pochi giorni, però, perché subito dopo sarebbe stato impiccato in via Santa Lucia. A lui, invece, toccò la deportazione e l’internamento in Germania, prima a Mauthausen e poi a Ebensee.
Tornato dalla prigionia distrutto, riuscì a reagire psicologicamente e, dopo essersi rimesso in salute, trovò lavoro a Venezia, come operaio delle Ferrovie, riprendendo anche gli studi con ottimi risultati. Vinse così un concorso di capo stazione e sposò Ada, dedicandosi alla famiglia e al figlio Giorgio.
Della guerra e della Resistenza non ne parlò più per oltre settant’anni, ovvero, sino al momento del nostro sodalizio. Ho così raccolto la sua testimonianza e le sue memorie, che, nel corso degli anni, abbiamo avuto la possibilità di far conoscere in tante occasioni. Nel 2018 il sindaco Giordani l’ha insignito della Medaglia d’onore città di Padova e il presidente della Repubblica Mattarella, tramite il Prefetto, gli ha conferito la Medaglia d’onore come deportato nei campi nazisti. Onorificenze che Celio non mancava di esibire con orgoglio in più occasioni. Un 25 aprile gli regalai la bandiera italiana, che appese subito al terrazzo, dicendo: «Tutte le famiglie dovrebbero farlo».
Nel 2022 le studentesse del quinto anno del liceo Concetto Marchesi di Padova hanno prodotto un interessante elaborato dal titolo La Resistenza di Celio Bottaro.
L’estate scorsa, per il suo centesimo compleanno, l’Anpi-Associazione nazionale partigiani d’Italia di Padova gli ha donato una targa, che subito ha fatto appendere alla parete della sua camera. Durante la messa per i cento anni, don Loris Bizzotto – vicario parrocchiale a San Bellino – ha sottolineato con delicatezza e accuratezza la bella figura di uomo d’altri tempi, garbato, dalla mente brillante e sensibile. Di uomini come Celio Bottaro, ne nasce davvero uno ogni cento anni.
Il primo bombardamento su Padova, avvenuto il 16 dicembre 1943, costrinse Celio e la sua famiglia a sfollare in periferia dai parenti di sua madre. Si portò dietro però il piccolo ciclostile, continuando così a stampare materiale sovversivo antinazifascista.